Società

Caso Carrefour, più che il ciuccio il problema è l’agnello

Due foto con un agnellino scuoiato in braccia, cui era stato messo un ciuccio in bocca: è bastato questo a scatenare l’ira di migliaia di persone che hanno inondato di commenti la pagina Facebook del gruppo di supermercati Carrefour,  invocando sanzioni disciplinari, ma soprattutto il licenziamento, per le due dipendenti della sede di Tivoli che avevano avuto l’idea del macabro scatto. In poche ore sono uscite le dichiarazioni del Movimento animalista, dell’Ente nazionale protezioni animali di Roma e di altre sigle pro diritti degli animali, mentre partiva una petizione su Change.org, che nel titolo invitava a boicottare i prodotti dell’azienda mentre all’interno chiedeva “di provvedere a immediate e pubbliche scuse e alle sanzioni previste nei confronti dei dipendenti che si sono resi protagonisti di tale grave gesto!” (“Come si può infierire così abominevolmente su poveri esseri macellati deridendoli e sbeffeggiandoli? Vergogna!!! Solo persone immonde e prive di qualsivoglia empatia possono arrivare a tanto!!! Vergogna!!!!!).

Non c’è dubbio: le foto in questione sono veramente macabre. Immediato è il senso di pietà che suscitano verso un animale scuoiato che viene dileggiato senza quel rispetto sacro che si dovrebbe avere di fronte a una creatura morta. Qualcuno in rete ha fatto il paragone con l’infermiera che scattava i selfie con gli anziani morti. Un’analogia non sbagliata, perché l’oltraggio è identico e infatti provoca in noi una reazione di disgusto analoga. Un disgusto che si somma non tanto alla rabbia, ma a una sensazione di vero sgomento di fronte a persone che non hanno alcuna consapevolezza di ciò che stanno facendo. Come se il loro senso morale fosse inesistente, cancellato, azzerato. Come se mancasse un’etica di base, quella che consente tra l’altro il civile stare insieme.

Detto questo, mi pare però sacrosanto dire, come moltissimi in rete hanno sottolineato, che nella maggior parte delle reazioni indignate c’è anche una sostanziale ipocrisia di fondo che ci porta a scandalizzarci per il selfie con l’agnello scuoiato ma non per l’agnello scuoiato in sé. Le immagini sono in grado di provocare in noi reazioni morali forti, ma appunto cosa succederebbe se di quell’agnello, per dirla con una battuta, fosse stata fatta una Instagram story, a partire dalla nascita fino alla tremendo macellazione? Non so se esista, ma certamente un canale di foto di animali uccisi per essere poi macellato provocherebbe lo choc della maggior parte delle persone che si dicono furiose ma poi non smettono di mangiare carne. Noi onnivori – non sono vegetariana – continuiamo ad essere relativamente tranquilli proprio perché di fatto c’è una rimozione collettiva di quelle immagini, ovvero di ciò che si svolge all’interno dei luoghi dove questi animali vengono allevati e uccisi. Accuratamente nascosto al grande pubblico.

Detto in altre parole, il problema non mi sembra il ciuccio ma soprattutto l’agnello sgozzato. E questa vicenda, paradossalmente, è una buona occasione per noi che continuiamo a mangiare carne per fermarci un attimo a riflettere, per pensare se davvero non sia il momento di cambiare rotta, o almeno di provarci (“Smettete di mangiare carne e forse la prossima volta il ciuccio lo metteranno ad una melanzana: farebbe più ridere e renderebbe tutti un po’ meno ipocriti..”, scrive un ragazzo in rete). Troppo facile, insomma, scatenare l’indignazione per questa foto ma al tempo stesso, appunto, farsi la foto con l’agnello cotto, magari per mostrarla sempre su Facebook agli amici la sera di Natale (e notava sempre una persona sulla pagina di Carrefour, come mai ci sembrano normali quei maialini esposti ad esempio ai Castelli romani con gli occhiali da sole, il limone in bocca e il fiore dietro l’orecchio?).

Ecco perché trovo abbastanza incredibili le richieste di licenziamento delle due impiegate, le quali comunque dovrebbero quantomeno subire delle sanzioni disciplinari per capire la gravità di ciò che hanno fatto (e chi ha chiesto di occuparsi invece delle loro condizioni lavorative sbaglia, non perché non sia giusto denunciare anche queste nel caso si tratti di lavoro sottopagato, figuriamoci, ma perché la gravità del gesto non va offuscata). Trovo altrettanto stupefacente la violenza becera ed estrema che si è scatenata contro di loro, con persone che auguravano loro le peggiori cose, con gente che scriveva, “Bisognerebbe andare in massa al Carrefour e fare la stessa cosa che hanno fatto loro a quei poveri animali anime di di Dio a questi due esseri perché non possono essere chiamate persone”. Mi sembra infine assurdo chiedere che vengano boicottati i prodotti Carrefour nel caso l’azienda, che non c’entra, non si piegasse a questa ghigliottina chiesta dal web, invece che seguire la policy prevista in questi casi.

Infine una conclusione che mi costerà numerose critiche: resta comunque il fatto che, anche se la richiesta di punizioni estreme non è venuta solo da vegetariani e vegani, ma anche da indignati onnivori, anche in questo caso ho avuto modo di riscontrare quanto chi ha scelto di non mangiare carne spesso non solo si consideri moralmente superiore a chi mangia carne – e magari è pure vero, si tratta di una scelta sicuramente più etica – ma tratti chi agisce diversamente con un disprezzo totale francamente non giustificato. Come ho scritto, questa vicenda deve far riflettere soprattutto noi che vegetariani (ancora) non siamo, ed è giusto quindi che ci venga fatta notare la nostra ipocrisia e cattiva coscienza. Ma il fondamentalismo vegano non aiuta a cambiare la testa delle persone: occorrono argomentazioni giuste, pacatezza, dialogo. Anche in questa discussione mi sembra che, in parte, siano mancati, almeno in quei vegani che prendono carta e penna per intervenire. Eppure, e ancor più dopo questa vicenda, dico: abbiamo tanto più bisogno di vegani miti, che ci prendano per mano con dolcezza e ci aiutino a capire. Non dita puntate contro da chi ritiene di essere una razza completamente superiore. L’assolutismo e l’ideologia non ci servono, proprio no.

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