Cinema

My War Is Not Over, in un doc storia del soldato che ha ridato un nome e una tomba ai caduti nella seconda Guerra Mondiale

Restituendo dignità, identità e quindi memoria a centinaia di militari Harry Shindler, britannico, 95 anni, si è imbattuto anche nella vicenda del papà di Roger Waters: "Lo faccio per la memoria di quanto è accaduto, affinché non succeda ancora"

Harry Shindler, britannico, 95 anni portati d’incanto, ex soldato residente ad Anzio che non ha mai lasciato dalla fine della guerra, è un pozzo di storie, un pozzo di Memoria. Sul suo straordinario lavoro di restituzione d’identità ai soldati britannici (e non solo) caduti durante la II Guerra Mondiale senza nome  – fra cui anche il padre di Roger Waters (Pink Floyd) – è nato un documentario oggi presentato in prima mondiale al Torino Film Festival.

Il regista Bruno Bigoni ha attinto la materia dal libro My War Is Not Over – il cui titolo è rimasto per il film – scritto col giornalista Marco Patucchi; il cineasta milanese è approdato a Torino accompagnato dal cronista ma soprattutto dallo stesso Shindler, perfettamente lucido, saldamente ancorato all’urgenza della propria attività, giammai compiuta per lucro o per notorietà. “Lo faccio per la memoria di quanto è accaduto, affinché non succeda ancora. Ho iniziato molti anni fa, quando mi è stato chiesto di trovare un capitano inglese “sconosciuto” caduto coi soldati italiani. Pare avesse fatto molto bene alle persone nel Nord Italia dove ha combattuto, poi è stato fucilato. Quando ho trovato chi fosse, ho fatto scrivere il suo nome sulla lapide e ho compreso che solo così era possibile chiudere la guerra per le famiglie di questi giovani morti. Perché la guerra finisce solo quando veramente seppellisci i tuoi morti, e non quando si firmano gli accordi di pace”.

Restituendo dignità, identità e quindi memoria a centinaia di militari Alleati caduti nel nostro Paese da oltre 30 anni, Shindler si è imbattuto anche nella vicenda del papà di Roger Waters. E trattando il “caso Waters” viene fuori che Harry non sapesse affatto chi fosse il ben celeberrimo figlio. A raccontare l’episodio, presentato nel film con la medesima dignità di tutti gli altri casi perché sarebbe stato ipocrita sfruttare la notorietà del musicista, è Patucchi: “Un giorno Harry mi chiama come di consueto con la sua frase incipit “C’è un caso da risolvere”, poi incalza “Tu lo conosci Roger Waters?”. Io pensavo stesse per raccontarmi una delle sue solite barzellette e ho risposto “Certo che lo conosco”. Lui ribatte “bene, perché io non so chi sia, ma ho trovato come e dove è morto suo padre”. Conoscendo Harry sapevo fosse sincero, cioè veramente non conosceva chi fosse l’uomo leggenda dei Pink Floyd”. Nel film di Bigoni “il caso Waters” chiude un elenco toccante di giovani caduti in battaglia anche grazie alla splendida e commovente poesia mandata da Roger a Harry per ringraziarlo. A suo padre, come a tutti i soldati morti senza nome, oggi è eretto un monumento alla memoria, mentre Harry Shindler dalla giacca insignita di medaglie all’onore nonché dal massimo riconoscimento della Corona – l’appartenenza all’Impero Britannico – insiste sull’emergenza odierna a preservare la memoria “perché stanno morendo tutti, e non possiamo piu permettere che un’altra guerra accada, come la Seconda Guerra Mondiale segui di soli vent’anni la Grande Guerra nonostante tutti i “non accadrà mai più” che si sentivano a quel tempo”.

La giornata torinese del festival si è caratterizzata anche per la presentazione di Lorello e Brunello di Jacopo Quadri, noto montatore ma qui in veste di regista. Il suo documentario, che è anche il primo dei due titoli italiani concorrenti a Torino 35, è il ritratto lirico di una famiglia bucolica rappresentata allo scandire delle quattro stagioni. Siamo nel cuore della Maremma Toscana – precisamente nella zona di Sorano – e i gemelli Lorello e Brunello Biondi sintetizzano la fine di un tempo nel mondo dell’agricoltura. L’apologia del trattore, l’elegia del gregge, l’atavica paura del lupo, e la scansione della dimensione spazio-temporale diventano il modo in cui i sopravvissuti dei campi aperti – che vengono emblematicamente chiusi e trincerati proprio in una sequenza del film – comprendono che siamo al crepuscolo di un antico e forse più felice mondo. Resilienti, lavoratori indefessi, volti indimenticabili.