Calcio

Se l’Italia è fuori dai Mondiali è perché il calcio, come il Paese, ha preferito risparmiare

Se è vero che il calcio è lo specchio del paese, allora l’esclusione dal Mondiale andrebbe vista come quel brufolo che scopri la mattina e su cui metterai gli occhi e il dito per tutto il giorno.
Il brufolo del pallone è lo stesso brufolo della politica, dell’economia e di gran parte dell’Italia cosiddetta pensante. Quel brufolo si riassume in una parola: nanismoGian Piero Ventura fu scelto perché costava poco: il palazzo del Calcio – retto da un presidente scelto perché parte delle medesime logiche – lo ammise candidamente.

Ovviamente se queste sono state le logiche di partenza, il capolinea non poteva che essere un muro dove schiantarci dopo 60 anni. La morale delle scelte low cost è perdere un affare da cento milioni, scoraggiare gli italiani e costringerli a subire l’ennesimo schiaffo da un Nord Europa che vince rubandoci le nostre armi tattiche. Ventura, lo ripeto ancora perché questo è il nocciolo, è stato scelto perché costava poco: poco meno di Vincenzo Montella (che a un certo punto divenne il suo possibile concorrente; e a conti fatti il risultato sarebbe stato il medesimo) e moltissimo meno di Roberto Mancini, il sogno proibito per il dopo Antonio Conte.

Per Ventura non c’era il bonus delle sponsorizzazioni, il cui strapotere è capace di influenzare persino le scelte tecniche. Le politiche del braccino corto o il modello low cost – chiamatelo come volete – sono fortemente aleatorie: stavolta ci è andata male. E ben ci sta, ma non per colpa di un allenatore le cui caratteristiche erano e sono note. Certo, Ventura e Tavecchio se ne devono andare, ma resta la domanda: con quale logica pensiamo di ricostruire? Con la stessa?

Sento parlare di troppi stranieri nel calcio. Beh, quando andammo a Berlino a vincere il Mondiale l’Inter già schierava una squadra totalmente di stranieri e ovviamente guai a rompere il miracolo internazionalista. E non erano solo i Nerazzurri a puntare tutte le fiches sugli stranieri. Quindi il problema non si può liquidare solo sulle rose e sui vivai. Né ci si può impiccare per le nuove proprietà straniere: i campionati inglese e francese hanno club di proprietà arabe e russe ma non per questo oggi piangono.

Piangiamo noi perché manca la programmazione politica, perché vogliamo mucche con le mammelle gonfie di latte ma poi quel latte non lo giriamo ai figli. Il calcio italiano soffre perché le plusvalenze sono più importanti degli allenatori, perché i bilanci sono più importanti del valore reale delle rose, perché gli stadi diventano merce di scambio su ben altri tavoli. Abbiamo scelto un dirigente accomodante e un allenatore perché costava poco? E adesso paghiamo cara questa scelta, perché in un momento di crisi quel volano avrebbe fatto comodo. A tutti, anche a chi oggi punzecchia.

L’Italia ha bisogno di briglia sciolta, ha bisogno di investimenti pubblici pesanti, ha bisogno di giocare libera e all’italiana. Anche nello sport, dove quasi tutte le nazionali sono fuori dai giochi che contano! L’Italia non ha bisogno di rigore tedesco, siamo sempre stati un’altra cosa: farfalloni e rigorosi, un piede in sagrestia e uno nel bordello, fantasiosi e catenacciari. Oggi siamo un paese che ha paura, che ammazza impresa e lavoro. Cosa c’entra col pallone? C’entra perché i nuovi padroni del pallone sono e saranno sempre più soggetti finanziari o multimiliardari stranieri. E’ lo stesso veleno che ci sta ammazzando. Il cuore e la corsa non bastano quando non c’è un regista capace di far girare il pallone.

Se il calcio è una metafora del Paese, allora basta con i modelli low cost. Basta con la politica del braccino corto. Basta con l’austerity che fa girare i soldi solo dove non servono. Basta con le multinazionali che ci mettono il grano altrimenti si sta fermi. A noi la scelta.

P.s.: Aggiungo – e chiudo – con un’ultima considerazione: se davvero il pianto e le parole di Gianluigi Buffon ci hanno colpito, allora stampatevele bene in mente: Buffon non ha scaricato nessuno e soprattutto non ha detto ai più giovani che sono viziati o sfaticati, a differenza di una vulgata comune e diffusa per cui i giovani sono solo dei viziati. Come ho già scritto mille volte: i viziati non hanno età.