Cultura

Luc Merenda, la sua vita (e il suo cinema) a briglie sciolte

Marina Crescenti ha scelto di tramandarci la biografia dell’attore francese Luc Merenda, La vita a briglie sciolte (Bloodbuster Edizioni Milano, 25 euro), attraverso l’espediente narrativo del dialogo a due, risultato delle loro lunghe e stimolanti conversazioni parigine, appunto «a briglie sciolte». Per restituire agli amanti del cinema la corretta percezione dell’uomo, l’autrice ha intenzionalmente mantenuto tali e quali nel testo sia il colorito e ironico, nonché «fantasioso», modo di esprimersi di Luc Merenda nella nostra lingua, sia il disordinato flusso dei suoi pensieri, una valanga di ricordi e sensazioni che passano con estrema disinvoltura dal frivolo all’impegnato. Uniformare il suo linguaggio a modalità standard del parlare comune avrebbe certamente, sempre secondo l’autrice, snaturato il personaggio; scindere la sua testimonianza di vita dal suo modo impetuoso e caratteristico di esprimersi è apparsa da subito come una scelta sbagliata. «Solo così sono sicura di avere fatto uscire allo scoperto la vera essenza della sua personalità, di attore e, soprattutto, di uomo».

Come scrive il critico cinematografico Davide Pulici nella sua prefazione «Le ossessioni richiedono di essere omaggiate nell’eccesso. Ossessioni e passioni sono dei Moloch ai quali occorre sacrificare facendo scorrere molto sangue, con olocausti opimi. Fuori di metafora, non si può né si deve mantenere la misura parlando/scrivendo di ciò che piace. La biografia di Luc Merenda svolta in forma di dialoghetto platonico con Marina Crescenti nasce sotto questa stella favorevole e beneaugurante della passione sovrabbondante. Marina è, ora, ed era, allora, una di noi: intendo con ciò di noi che negli anni Settanta riempivamo i nostri giorni e le nostre notti di studenti con visioni compulsive di film italiani di genere, che oggi chiamiamo cinema bis. Li vedevamo in tv. Apparteniamo a quelle generazioni alle quali le televisioni libere fecero allora il più grande regalo immaginabile, con i loro palinsesti selvaggi dominati dalla produzione italiana di pochi anni prima–perché erano le cose che costava di meno trasmettere. Siamo rimasti sotto, a quei film. Ci hanno fatto il lavaggio del cervello. Anzi, di più, ci sono entrati nel sangue come sostanza stupefacente».