Musica

Il suono del secolo, ecco la “Divina Commedia rock”: un viaggio tra Inferno, Paradiso e Purgatorio della musica

Nel libro scritto da Stefano Mannucci ci sono tutti i grandi nomi della musica novecentesca: i lungimiranti pionieri di Woodstock, i Beatles, i Rolling Stones, Elvis, i Queen, Bob Dylan, Phil Collins, Jimi Hendrix e Dio solo sa quanti altri. Ma soprattutto ci sono gli eventi che hanno segnato la storia recente dell'umanità, i grandi temi della vita, i fenomeni culturali, sociali e politici, messi sapientemente in relazione con quello che bolliva in pentola, contemporaneamente, nel grande calderone stregonesco del rock

Narrare la storia del rock è esercizio usuale, per le grandi penne del giornalismo musicale. Ma per farlo davvero come tale monumentale argomento merita, serve un insieme di ingredienti che in pochi, pochissimi possono vantare. Tra questi c’è senza dubbio alcuno anche Stefano Mannucci, che tra radio e carta stampata ha attraversato trent’anni di giornalismo musicale, di racconto quotidiano di quella grande avventura infinita che è la colonna sonora dei giorni di ognuno di noi.

Ne “Il suono del secolo”, edito da Mursia nella collana “Leggi Rtl 102.5”, Mannucci si supera, mettendo in fila i grandi eventi del secondo Novecento con quella irregolare passionalità che non doveva certo dimostrare dopo una carriera lunga e autorevole, ma che regala al lettore un viaggio alla scoperta del rock, di quello che è stato davvero “il suono del secolo”, ben oltre le definizioni sbrigative di benpensanti e conservatori spinti che nel corso della storia non sono mai riusciti a capire in tempo reale l’impatto effettivo di un fenomeno del genere.

Quella di Mannucci è una sorta di Divina Commedia rock, con il lettore nei panni di Dante e l’autore in quelli di Virgilio, a spasso tra Inferno e Purgatorio della musica, tra tragedie epocali e grandi eventi, snodi cruciali della Storia e storie personali, quotidiane, eroicamente normali segnate dalle note del rock.

E il Paradiso? C’è in ogni pagina e non c’è in nessuna, perché il rock è inferno e purgatorio sì, ma regala un’estasi vera, celestiale, magari meno “costumata” di quanto vorrebbero alcuni, ma è gioia pura, illuminazione. E non c’è nulla di religioso in tutto ciò, non in senso “istituzionalizzato”, almeno. Perché lo spirito, inteso come parte intangibile dell’uomo, trova nel rock in particolare e nella musica in generale un nutrimento indispensabile, che ha mosso le masse, le ha cambiate, le ha sconvolte, ha portato indecenza e progresso, ha scandalizzato e educato a un mondo migliore, più libero, più aperto, più tollerante. Con tutti i limiti e le debolezze del caso, beninteso, perché la storia del rock è una storia che più umana non si può e dal rock non ci si può certo attendere modelli moralmente inappuntabili.

Ci sono tutti i grandi nomi della musica novecentesca: i lungimiranti pionieri di Woodstock, i Beatles, i Rolling Stones, Elvis, i Queen, Bob Dylan, Phil Collins, Jimi Hendrix e Dio solo sa quanti altri. Ma soprattutto ci sono gli eventi che hanno segnato la storia recente dell’umanità, i grandi temi della vita, i fenomeni culturali, sociali e politici, messi sapientemente in relazione con quello che bolliva in pentola, contemporaneamente, nel grande calderone stregonesco del rock. Dalla regina Elisabetta alla Chiesa, dal terrorismo a Donald Trump, è tutto un viaggio ispiratissimo tra chi eravamo, chi siamo e forse chi saremo. E per ognuno di questi macrotemi c’è un aneddoto musicale, un brano, un protagonista del rock da conoscere meglio. Senza filtri, senza sconti, senza beatificazioni a priori, ma senza neppure la smania di distruggere gli idoli, di smontare le leggende, di ergersi a censore e critico cattivo a prescindere. “Il suono del secolo” è un atto d’amore di un professionista che non si è solo occupato di musica ma l’ha amata profondamente, l’ha raccontata e l’ha promossa, anche con interessanti iniziative personali. E soprattutto è un libro per tutti: per chi ha attraversato il tumultuoso secondo Novecento e per chi ha vent’anni e forse ha bisogno di capire da dove veniamo, musicalmente e culturalmente.

Le oltre quattrocento pagine vergate da uno dei decani (pur essendo tutt’altro che anziano) del giornalismo musicale italiano scivolano via velocemente, si fanno divorare, e quando arrivi alla fine ne vorresti altre quattrocento almeno. Perché solo il rock, quando è raccontato con così tanta passione, professionalità e onestà intellettuale, può regalare emozioni del genere.