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Giochi, raccolta in salita del 177% in dieci anni. Ma gli introiti per lo Stato calano dal 19 all’11% delle puntate

L'Agenzia dei Monopoli ha pubblicato per la prima volta tutti i dati sul gioco legale dal 2006 al 2016. L'anno scorso gli italiani hanno perso in totale 19,48 miliardi (dagli 11,9 di dieci anni prima). Ben 10,48 se li sono mangiati slot e altre macchinette. La spesa per i giochi online è salita del 1184% in soli otto anni. Intanto l'Erario si accontentava di veder salire gli introiti dai 6,7 miliardi del 2006 a 10,5 miliardi

Una perdita media pro capite lievitata nel 2016 a quota 385 euro: il 55% in più rispetto al 2006. Una raccolta complessiva, cioè l’insieme delle puntate fatte dagli italiani, che dai 34,7 miliardi di dieci anni fa è arrivata a superare i 96 miliardi: un incremento del 177%. E una perdita totale per i giocatori che ha toccato i 19,48 miliardi, di cui ben 10,48 bruciati con le slot e le altre “macchinette“. L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha pubblicato per la prima volta sul proprio sito tutti i dati sul gioco legale dal 2006 al 2016. Quella che emerge è la descrizione di un Paese sempre più malato d’azzardo, in cui i soldi mangiati dalle videolotteries sono passati dagli 89 milioni del 2010 ai 2,7 miliardi del 2016: +2722%. Intanto lo Stato si accontentava di veder salire gli introiti dell’Erario dai 6,7 miliardi del 2006 ai 10,5 miliardi dello scorso anno.

Su del 177% i soldi persi con le macchinette – Salta all’occhio che, mentre giochi tradizionali come bingo e scommesse ippiche perdevano terreno, decollava la spesa per tentare la sorte con le videolotteries e le new slot. La progressione è stata esponenziale e ormai oltre la metà della raccolta da giochi arriva dalle macchinette. Nel 2016 le puntate ammontano a 49,7 miliardi di euro, il 51,6% del totale. Rispetto all’anno precedente la raccolta attraverso questo canale è aumentata di 1,3 miliardi di euro, rispetto al 2006 è salita di 34,7 miliardi. Che equivale alla raccolta complessiva di quell’anno su tutti i canali. Di conseguenza è lievitata anche la cifra che gli italiani perdono ogni anno usando le macchinette nei bar e nelle sale da gioco: dai 3,78 miliardi del 2006 ai 10,48 del 2016. Un aumento superiore al 177%.

+1184% la spesa per il gioco online -Valori assoluti più piccoli ma incremento monster per i giochi a distanza: quelli cioè accessibili online, senza neanche dover uscire di casa. Quelli, di conseguenza, più pericolosi nell’alimentare la ludopatia. Dal blackjack al texas Hold’em. In soli otto anni (le serie iniziano nel 2008) la raccolta è passata da 242 milioni a 16,9 miliardi. Di cui solo 119 milioni si trasformano in introiti per l’erario. Nel frattempo la spesa, cioè la perdita subita dai giocatori, è salita del 1184%, da 46 a 591 milioni di euro. Da notare che i dati non comprendono il gioco online su hardware basati all’estero.

Le perdite pro capite salgono del 55%. I giocatori effettivi puntano 6mila euro l’anno – Nel frattempo la quota di mercato degli apparecchi ha raggiunto il 53,8% a scapito di Lotto (sceso al 15,7% del mercato dal 24,9% del 2006), bingo (valeva il 6,6% del mercato, oggi ha solo il 2,5%) e giochi numerici a totalizzatore, che vanno dal Superenalotto al Win for life: nel 2006 la loro fetta di mercato era vicina all’11%, per una raccolta di 2 miliardi. Lo scorso anno è calata al 3,8%. Le scommesse sui cavalli, che raccoglievano 2,58 miliardi, ora si fermano a poco più di 600 milioni. E’ cambiata, di conseguenza, anche la ripartizione del fatturato del comparto tra gli operatori delle varie categorie di gioco: i concessionari di vlt e awp (le new slot) hanno fatturato nel 2016 4,6 miliardi, più dei concessionari del Lotto (1,25 miliardi), più di tutte le lotterie (1 miliardo), più delle scommesse sportive. I loro incassi sono saliti del 170% in dieci anni. Nel frattempo la spesa pro capite saliva da 248 a 385 euro l’anno, dato peraltro evidentemente poco indicativo visto che ripartisce le puntate complessive su tutti gli italiani maggiorenni. Stando all’ultimo studio nazionale Ipsad (Italian population survey on alcohol and other drugs) della sezione di Epidemiologia e Ricerca dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa, i giocatori effettivi sono circa 16 milioni. Se si rapportano le cifre fornite dai Monopoli a questo dato, si ricava che ogni giocatore punta in media 6mila euro l’anno e ne perde 1.200.

Vincite su a 77 miliardi. Ma non si sa quanti vengono rigiocati – Nel frattempo, inevitabilmente, sono aumentate anche le vincite: dai 22,7 miliardi del 2006 sono passate a 77 miliardi. Di cui 20,3 dalle videolotteries, che nel 2010 avevano invece fatto vincere solo 829 milioni. Le new slot, dopo il picco di 23,1 miliardi di vincite nel 2010, hanno invece riportato nelle tasche dei giocatori sempre meno: lo scorso anno 18,8 miliardi. Il problema è che dai dati dei Monopoli non emerge quanta parte dei soldi vinti viene rigiocata, andando nuovamente ad alimentare la raccolta.

E gli introiti per lo Stato calano dal 19% al 10,9% della raccolta – E lo Stato, che dei cittadini ludopatici si deve poi far carico attraverso il servizio sanitario nazionale? Nelle casse dell’erario sono entrati l’anno scorso 10,5 miliardi, il 56,7% in più rispetto a dieci anni prima. Ma nel frattempo, come visto, la raccolta è aumentata a un ritmo ben più sostenuto. Questo perché sui giochi che hanno conosciuto la crescita più rapida pesa un prelievo fiscale relativamente basso. Per avere la controprova bastano due calcoli: nel 2006 il fisco incassava il 19% delle puntate complessive, nel 2016 la percentuale è scesa al 10,9%. Il prelievo del 6% sulle vincite oltre i 500 euro, scattato nel 2012, ha portato incassi aggiuntivi per soli 395 milioni nel 2016. La manovrina di primavera ha incrementato la “tassa sulla fortuna” portandola al 12%, oltre ad alzare dal 17,5 al 19% il prelievo erariale unico sulle slot, dal 5,5 al 6% quello sulle slot e dal 6 all’8% la ritenuta sulle vincite al Lotto. Sulle barricate l’associazione di categoria Sapar (Servizi Apparecchi per le Pubbliche Attrazioni Ricreative), secondo cui la stretta fiscale avrebbe “messo a rischio 6.500 aziende del settore con 300mila posti di lavoro”.