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Rottamazione cartelle esattoriali, così a metà corsa si scopre che si poteva anche non pagare in tempo

Anche questa volta arriva puntuale un decreto del governo che cambia le carte in tavola e permette di tornare in gioco anche a chi non ha versato la prima o la seconda rata della rottamazione. Un ripescaggio - o meglio, un vero e proprio condono nel condono -  teso a salvare qualcuno buttando a mare ciò che resta della credibilità dello Stato e che fa infuriare tutti coloro che hanno pagato puntualmente e con sacrificio

L’Italia non è un Paese per “fessi”. Lo dimostra una volta in più il governo Gentiloni che in fretta e furia, con un bel decreto, ha deciso di riaprire le danze per la rottamazione delle cartelle esattoriali. Sulle prime si potrebbe pensare a un provvedimento positivo, volto a estendere i vantaggi della rottamazione (cancellazione di sanzioni e interessi di mora) anche all’anno in corso, mantenendo le stesse regole e gli stessi criteri stabiliti per il primo provvedimento. Un punto fermo era l’impegno che, una volta effettuata la definizione agevolata, il debitore dovesse puntualmente onorare le cinque rate massime previste e che l’eventuale omissione o ritardato pagamento anche solo di una rata avrebbe determinato l’immediata perdita dei benefici garantiti dalla rottamazione. Un patto, insomma, per onorare il quale molti contribuenti hanno fatto salti mortali o si sono addirittura indebitati.

Cittadini onesti ma “fessi”, perché è ormai risaputo che pagare entro le scadenze in Italia non “paga”. Infatti anche questa volta arriva puntuale un decreto del governo che cambia le carte in tavola e permette di tornare in gioco anche a chi non ha versato la prima o la seconda rata della rottamazione. Un ripescaggio – o meglio, un vero e proprio condono –  teso a salvare qualcuno buttando a mare ciò che resta della credibilità dello Stato e che fa infuriare tutti coloro che hanno pagato puntualmente e con sacrificio le due rate. “Si poteva non pagare”: è questo il messaggio che il governo manda ai cittadini. Un messaggio che, di condono in condono, è uguale a se stesso da decenni, ma poco importa: le elezioni premono e bisogna fare in fretta, salvando soprattutto i grandi bacini di voti.

Roma e le case popolari dell’Ater sono uno di questi. L’Ater è controllata dalla Regione Lazio (guida Pd) e ha un debito con il Comune di Roma (amministrato dai 5 Stelle) di circa 500 milioni di euro per imposte non pagate. Ater ha aderito alla prima rottamazione, ma non è poi riuscita a pagare se non parzialmente (32 milioni su 64) la seconda rata scaduta il 2 ottobre. Stando alle regole, l’agenzia regionale avrebbe perso ogni beneficio e si sarebbe trovata debitrice dell’intero importo comprensivo di sanzioni e interessi di mora. Un guaio “politico” forse ancor prima che finanziario, cui il decreto del governo pone immediato rimedio: l’inadempiente Ater può riprendere la rottamazione da dove l’aveva interrotta come se nulla fosse accaduto, il Comune ci rimette qualcosa ma con la rottamazione – cioè con un debito ridotto – è più probabile che Ater riesca a pagare qualcosa piuttosto che con un debito “pieno”, posto che la Regione non pare disposta a farsi carico del problema. Quello di Roma è solo un caso che viene in mente perché è storia di questi giorni, ma quante Ater esistono in Italia? E quanti furbacchioni pubblici e privati riceveranno un ingiusto beneficio dal decreto del governo Gentiloni?