Diritti

Ius soli, la velina di Striscia vittima dei razzisti: “Io in piazza per la cittadinanza. Chi cresce in Italia è italiano”

Mikaela Neaze Silva, 23 anni, già presa di mira da insulti razzisti appena sbarcata in tv, vive in Italia da quando aveva 6 anni. "Quando sono all'estero mi dichiaro italiana e i miei nuovi amici stranieri riconoscono in me un'italiana. Gli italiani non sono razzisti, però non sanno affrontare una società multietnica. E i politici sono inadeguati"

“Per la battaglia dello ius soli servirebbe una bella manifestazione di piazza, e io ci andrei molto volentieri. I bambini che crescono qui hanno diritto di essere riconosciuti italiani“. A parlare è la velina bionda di Striscia la Notizia, Mikaela Neaze Silva, 23 anni, già presa di mira da insulti razzisti appena sbarcata sul piccolo schermo all’inizio della nuova stagione del programma di Mediaset. Per lei, originaria dell’Angola, battersi per diventare ufficialmente cittadina del Paese in cui vive da 16 anni è la cosa più normale da fare. “Quando sono all’estero, io mi dichiaro italiana, e i miei nuovi amici stranieri riconoscono in me un’italiana”.

“Ho fatto ben tre cicli di scuola, fino alla maturità, e aspetto ancora di avere la cittadinanza. Ho fatto la domanda, e spero che arrivi presto il documento”, spiega Mikaela intervistata da Repubblica. “Vede, un bambino, come sono stata io, cresciuto in Italia, ha assorbito la cultura italiana, per forza di cose. Ha studiato qui, assieme a compagni italiani, ha acquisito una mentalità italiana. Dunque, è giusto che gli venga riconosciuta l’italianità. Per questo secondo me bisognerebbe parlare più correttamente di ius culturae“.

Il padre di Mikaela era angolano, la mamma afgana. “Si sono conosciuti a San Pietroburgo perché all’epoca studiavano entrambi medicina lì. In quegli anni molti studenti afgani facevano l’università in Russia, i rapporti tra i due Paesi erano buoni, allora”. La 23enne è nata proprio a Mosca, nel 1994. Arrivata in Italia nel 2000, quando aveva 6 anni, è andata a vivere a Genova. “Ho fatto la prima elementare alla scuola che c’è vicino alla stazione di Brignole. Poi ci siamo trasferiti perché non era una bella zona. La mamma ha trovato casa a Castelletto, e siamo vissute lì, io, lei e la mia sorellina. È un bel quartiere, famiglie agiate, e ci stavo da Dio”.

Peccato per gli insulti razzisti, che anche lì non mancavano. E che sono proseguiti al liceo linguistico, quando una prof le ha fatto fare un corso di italiano per stranieri. “Volevo dirle ‘guarda che l’italiano lo parlo meglio di te, che hai l’accento genovese. E so fare il pesto, io’. Il corso però l’ho fatto. E comunque parlo anche genovese. Poi parlo portoghese, inglese, francese. E un po’ di cinese, perché ho lavorato lì tre anni”. Secondo Mikaela gli italiani non sono razzisti, però non sanno affrontare una società multietnica, che è già realtà. Come anche i politici, “inadeguati”. “Molti italiani hanno paura del diverso, si sentono in pericolo… Non gliene faccio una colpa. Però attenzione. L’ignoranza porta alla violenza, ai commenti razzisti sui social. A quelli che parlano di razza ariana, 72 anni dopo la fine del nazismo”.

Secondo la 23enne non resta che scendere in piazza. “Alla manifestazione porterei anche uno striscione. Lo ius soli secondo me è solo un punto di partenza. È già un passo avanti, ma non basta”, continua Mikaela. Lo sciopero della fame è poco, cioè è tanto perché serve coraggio, ma secondo me ci vuole un’azione dimostrativa, come fecero gli afroamericani durante le lotte per i diritti. Noi dobbiamo lottare per i nostri diritti“.