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Telecom-Vivendi, la commedia del golden power “contro i francesi” che va a danno dei piccoli soci

La norma sui poteri pubblici in materia di asset strategici doveva essere lo strumento per arginare l’avanzata di Vincent Bolloré nell'ex monopolista. Invece il comitato per i poteri speciali dello Stato ha deciso che a pagare l'eventuale sanzione sarà il gruppo di cui Vivendi ha conquistato il 23,9 per cento. I piccoli azionisti-dipendenti stanno verificando se ci sono gli estremi per opporsi alla decisione

Doveva essere lo strumento per arginare l’avanzata di Vivendi in Telecom. E invece il golden power si rivela un’arma a doppio taglio per l’ex monopolista pubblico italiano. Tutti gli esperti si attendevano infatti che la multa per la mancata notifica del cambio nell’assetto di controllo di Tim sarebbe ricaduta sul gruppo controllato con il 23,9% da Vincent Bolloré. E, invece, a sorpresa, alla fine dell’istruttoria del comitato per il golden power istituito a palazzo Chigi, è venuto fuori che sarà Tim ad essere sanzionata per un importo fino a 300 milioni. Il motivo? Avrebbe dovuto comunicare al governo il cambio degli equilibri di controllo del gruppo avvenuto lo scorso 4 maggio, giorno in cui Vivendi riuscì a nominare in assemblea quattro suoi rappresentanti.

L’interpretazione del comitato per i poteri speciali dello Stato italiano non convince però a pieno perché, nelle logiche di mercato, normalmente è la società acquirente che comunica il lancio di un’offerta su una data preda. E non il contrario. “Tuttavia in questo caso si tratta di una regola aggiuntiva rispetto a quelle esistenti” spiegano fonti ufficiali del Mise che rimandano al decreto 21 del 2012, quello cioè che definisce i poteri pubblici per asset strategici come la rete di telecomunicazioni. Di certo, in questo modo, la decisione del comitato finisce col pesare principalmente sulle casse di Telecom, già ai ferri corti con il governo per via dei progetti di sviluppo di Enel Open Fiber, vincitrice di tutti i bandi per lo sviluppo della fibra nelle aree a fallimento di mercato. Non a caso alcuni piccoli soci, fra cui anche l’Asati, stanno verificando se esistono gli estremi per opporsi alla decisione dell’esecutivo sull’istruttoria.

Per i piccoli azionisti-dipendenti la posizione dei tecnici di palazzo Chigi sembra infatti giocare a favore di Vivendi che ha sempre negato di dover comunicare al governo italiano il cambio negli equilibri di governo di Telecom e toglie forza all’ipotesi di nullità di atti e delibere successivi ai cambiamenti di controllo. Inoltre, come se non bastasse, i francesi hanno anche fatto sapere di non ritenere fondato l’argomento secondo cui Vivendi “avrebbe avuto contezza della ‘strategicità‘ degli asset” già prima dell’accesso agli atti del 7 settembre 2017. Una tesi, quest’ultima, difficile da sostenere dal momento che Telecom è proprietaria della capillare rete di telecomunicazioni del Paese, oltre che dei cavi sottomarini di Sparkle e della telefonia criptati di Telsy.

Dopo la mezza sconfitta su Fincantieri, l’impressione è che il governo stia ripiegando anche su Telecom che Bolloré vorrebbe valorizzare attraverso l’infrastruttura di rete. Ufficialmente il network non è in vendita, tuttavia la sua cessione per almeno 10 miliardi sarebbe una manna dal cielo per Vivendi. Sul fronte politico italiano c’è però anche chi, come il presidente del Pd, Matteo Orfini, inizia a valutare la possibilità di un investimento diretto di Cassa Depositi e Prestiti nel capitale di Telecom. La questione è tuttavia ancora in discussione anche all’interno del Pd ed è legata a doppio filo con uno scenario politico in cui Silvio Berlusconi mantiene un ruolo di primo piano. Oltre ad essere in chiaro conflitto d’interessi dal momento che Bolloré è anche azionista di Mediaset e ha in corso un braccio di ferro con Cologno Monzese per via del dietrofront di Vivendi all’acquisto della pay tv Premium.