Scuola

Notte dei ricercatori 2017, qui dove non esistono baroni

Sembra di vivere in un mondo parallelo! E sì, perché partecipare agli eventi organizzati dalla Comunità Europea e dal programma Marie Curie Actions in occasione della ‘Notte dei Ricercatori’ a Bruxelles dove la presenza italiana è ampia, vivace e creativa, ti fa toccare con mano che, riguardo alla ricerca, esistono nel nostro Paese due universi.

Da una parte c’è quello composto dai “veri” ricercatori, quelli che lavorano, insegnano, studiano per far progredire la conoscenza, impegnano tutte le loro energie, talvolta scontrandosi con la burocrazia, la cronica carenza di fondi e hanno voglia di comunicare non soltanto con l’entusiasmo dei bambini i risultati delle loro ricerche, ma anche con il piacere di far comprendere a tutti, grandi e piccini, quanto il proprio ambito di studio sia importante per lo sviluppo del loro settore di ricerca nel più ampio contesto del sapere umano.

Nell’altro universo ci sono loro, i “baroni”, quelli che hanno il potere di alzare o abbassare il pollice per decidere chi può entrare nel mondo universitario e chi no, animati non sempre da ragioni scientifiche, più spesso da “logiche di scambio” e da miserie umane come sentimenti di gelosia, di invidia, voglia di ostentare il proprio squallido potere o di consumare stupide vendette. Questi “soggetti” possono svalutare senza ritegno i curriculum dei non prescelti con motivazioni inesistenti e pretestuose, e screditare sino a farle apparire come carta da macero pubblicazioni di ricercatori che hanno richiesto anni di studio e di impegno e magari ricevuto apprezzamenti internazionali. A questa categoria appartengono solo alcuni professori che spendono il loro tempo nei corridoi, in lunghe e accese telefonate in cui “ci si mette d’accordo” e si decide chi sarà membro delle commissioni per la compiacenza a stroncare la carriera ad alcuni e ad agevolarla ad altri, sulla base di accordi presi sottobanco in spregio al diritto, sicuri e certi che, anche se ci saranno ricorsi amministrativi, la faranno franca.

Ma sembra che con i fatti di questi ultimi giorni, relativi all’Abilitazione scientifica nazionale (ASN) che non è un concorso ma “solo” il riconoscimento che si è idonei e si può aspirare ad un ruolo nell’università dopo anni di attività di ricerca (di fatto è una sorta di “investitura” di chi entrerà nella docenza universitaria), la “musica” sia cambiata. Come molti si augurano, i commissari per l’Asn, non soltanto di ambito giuridico, d’ora in poi dovranno stare attenti: quando le registrazioni e le intercettazioni finiscono nelle mani dei giudici si possono far crollare interi settori scientifico disciplinari e gettare un’ombra scura sulle carriere di persone che si credevano intoccabili, oltre ad attivare conseguenze penali. E non solo: l’ombra scura viene gettata “su tutta la comunità universitaria” che è vittima assieme ai meritevoli umiliati, come ha evidenziato Tomaso Montanari.

Questi “soggetti”, che la comunità scientifica dovrebbe allontanare invece di ostracizzare chi denuncia e ha il coraggio, come Philip Laroma Jezzi, di “fare la propria parte” per non diventare con il silenzio complice del “sistema”, non si incontreranno mai in nessuna delle oltre trecento ‘Notti dei Ricercatori’ che si celebrano in Italia e in Europa l’ultima settimana si settembre. Il loro “profilo” appartiene ad una tipologia di “professori del nulla” che stanno nascosti e nell’ombra, vivono nel chiuso dei loro grigi studi, talora senza neppure incontrare gli studenti, ormai scomparsi in alcuni corsi di studio. Come ha lucidamente messo in evidenza Dario Braga, il sussulto vitale per molti di loro avviene solo per quello che considerano centrale della vita accademica: la spartizione dei posti.

Alla ‘Notte’ si possono invece incontrare ricercatori capaci di condividere il proprio sapere non solo con altri studiosi, ma anche con un più ampio pubblico allo scopo di rendere la conoscenza accessibile e aperta a tutti. Ed in questo sta la meraviglia: vedere centinaia di bambini e adolescenti prima vocianti, ammutolirsi di fronte ai vari esperimenti di fisica, geologia, chimica che vengono loro proposti e nei quali sono coinvolti; osservare nonni e nipotini che si incantano ad ascoltare i suoni di antichi strumenti musicali ricostruiti grazie al 3D; guardare con quale attenzione i ricercatori usano le parole per affascinare e rendere comprensibili i risultati del loro lavoro.

Non importa se siano dottorandi venticinquenni o professori emeriti ottantenni: i “veri” ricercatori si riconoscono ed individuano a distanza perché hanno gli occhi che brillano, hanno la gioia di avvicinare alla scienza e alla conoscenza il maggior numero di persone e possiedono quello che nel gergo dei “veri” ricercatori è chiamato “il sacro fuoco”, quel fuoco che ti fa amare lo studio nonostante richieda un impegno continuo e incondizionato, che ti fa percorrere strade non battute anche se vanno fuori dagli schemi e non seguono logiche di appartenenza a “cordate”, che ti fa intraprendere sentieri attraverso i quali si può aggiungere un tassello, anche piccolissimo, alla conoscenza che ha come fine ultimo il progresso dell’umanità.

E questo vale per tutti i campi della ricerca, sia essa dedicata alla fisica o alla filosofia, così come all’astronomia, alla cibernetica o all’archeologia. Così l’Homo sapiens si è evoluto dall’Età della Pietra sino al nostro supertecnologico presente. Ciascun ricercatore “vero” è ben consapevole che per far avanzare il proprio campo di studi deve essere disposto anche ad andare controcorrente e a seguire vie insicure che altri non hanno ancora percorso assicurando nuova linfa alla propria disciplina. Se questo non accade, i campi di studio si immiseriscono sino a scomparire, come è accaduto molte volte nel corso della storia e come accadrà in futuro per tutte le discipline che non si rinnovano e si avviluppano su sé stesse.

Entusiasmo coinvolgente, gioia di comunicare, “sacro fuoco” era il tratto che distingueva il gruppo di ricercatori italiani che alla ‘Notte’ di Brussels ha presentato i risultati di una scoperta che rivoluzionerà il nostro modo di guardare l’universo e di misurare le onde gravitazionali, operazione ritenuta impossibile perfino da Albert Einstein che ne aveva teorizzato l’esistenza. A distanza di cento anni grazie al lavoro di un team di ricercatori, tra i quali anche molti italiani dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Pisa, da oggi si potrà fare. “È una scoperta che vale tutta una vita”, così si è espresso Helios Vocca, uno dei protagonisti della ricerca (nella foto), presente al Parlamentarium di Bruxelles dove si è svolto l’evento ‘Science is Wonder-ful’ collegato alla ‘Notte’, provocando in chi era presente tanta emozione e i lucciconi agli occhi.

I ricercatori italiani si distinguono sempre per passione, competenza e capacità di vedere le cose da più punti di vista. Questo è il “vero” e solo modo di “fare l’italiano” e di portare alto il nome del nostro Paese in Europa e nel mondo. Altri modi non ce ne sono. Se qualcuno pensa che “fare l’italiano” significhi essere disposti al compromesso, ad abbassare la testa e a piegarsi, vada nell’altro universo perché nel mondo “vero” della ricerca per lui o lei non c’è posto.