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Doping di Stato in Russia, Nyt: “Assolti 95 atleti su 96 per insufficienza di prove”

Un documento interno alla Wada, citato dal quotidiano Usa, svela la maxi-assoluzione. McLaren, l'investigatore che ha stilato il rapporto sul sistema russo, parla di carenza di cooperazione da parte di Mosca e distruzione di campioni di urine contaminate

L’agenzia mondiale antidoping (Wada) ha deciso di assolvere 95 atleti russi su 96 nell’ambito dell’inchiesta sul doping di stato in Russia emersa dal rapporto McLaren nel luglio 2016. Lo svela il New York Times, citando un rapporto interno all’organizzazione di cui il quotidiano statunitense è entrato in possesso. “Le prove disponibili sono insufficienti a sostenere una violazione delle norme antidoping da parte di questi 95 atleti”, scrive nella relazione Olivier Niggli, il direttore generale dell’agenzia. Richard McLaren, l’investigatore che ha speso gran parte degli ultimi due anni ad analizzare gli schemi del sistema russo identificando circa mille atleti coinvolti, indica la causa delle assoluzioni nella carenza di cooperazione da parte di Mosca nel fornire i dati di laboratorio e nella prassi di distruggere i campioni di urine contaminate utili per l’incriminazione.

Il Nyt evidenzia anche come i dirigenti della Wada incaricati di costruire le accuse contro i 95 atleti russi, non sembra abbiano seguito tutte le piste. Nessuno, ad esempio, ha chiesto di sentire la gola profonda dell’inchiesta, il dottore Grigory Rodchenkov, l’ex direttore del laboratorio antidoping russo, che ora vive sotto protezione in Usa. Il sistema di controllo del doping globale funziona per federazioni sportive. Quindi una volta pubblicato il rapporto McLaren, sono stati gli organi direttivi di ciascuna federazione a esaminare la posizione dei rispettivi atleti russi coinvolti e decidere poi per le assoluzioni. Decisioni che la Wada ha esaminato e infine approvato, nonostante potesse anche contestarle.

“Dobbiamo accettare il fatto che lo scopo di McLaren fosse quello di dimostrare un sistema, non le violazioni individuali”, ha detto Niggli al New York Times. “Certamente in Russia potrebbero esserci più prove, ma c’è un limite a quello che si riesce a ottenere”. Il quotidiano sottolinea però anche i conflitti d’interesse dei vertici delle varie federazioni, più inclini a perdonare piuttosto che punire i propri atleti di punta. E in questo senso è particolare anche la tempistica, visto che la relazione sarà seguita da vicino anche dal Comitato Olimpico Internazionale, in vista dei Giochi invernali del 2018 in Corea del Sud.