Scuola

Anno scolastico al via, il fallimento della chiamata diretta dei docenti: il 50% dei presidi rinuncia. I casi di abusi segnalati

Problemi di tempi e di metodo: “Quella che era la novità più attesa dalla nostra categoria è diventata un fastidio, al punto che tanti preferiscono non farla”. Quando il criterio è arbitrario, la forzatura è dietro l'angolo. A Bergamo c'è l'insegnante di spagnolo che denuncia di essere stata scartata perché in maternità. A Roma il docente assunto per un posto inesistente, a Milano l'insegnante di latino scelto da un istituto tecnico

Ritardi, ingiustizie, problemi: la chiamata diretta dei docenti doveva essere uno dei cardini della Buona scuola renziana, ma a distanza di due anni dalla nascita il fallimento pare quasi definitivo. Il nuovo sistema di assegnazione di professori e maestri non piace proprio a nessuno. Sicuramente non agli insegnanti, selezionati per curriculum come impiegati di un’azienda qualsiasi. Ma nemmeno ai presidi, che pure avevano chiesto per anni la possibilità di scegliersi i propri docenti: “Quella che era la novità più attesa dalla nostra categoria è diventata un fastidio, al punto che tanti preferiscono non farla”, conferma Ezio Delfino, presidente dell’associazione dei dirigenti scolastici Disal. Secondo le stime orientative fornite da sindacati e associazioni, sono stati quasi il 50% i dirigenti che hanno scelto di rifugiarsi nell’assegnazione d’ufficio.

TEMPI TROPPO STRETTI – Merito e autonomia: su questi due principi Matteo Renzi e Stefania Giannini avrebbero voluto rivoluzionare la scuola italiana. E quale modo migliore per farlo della chiamata diretta: niente più graduatorie, oggi i docenti selezionano un ambito (una zona, più o meno grande, a cui appartengono più scuole), e poi i presidi li assumono sulla base di alcuni criteri prefissati. L’anno scorso i trasferimenti straordinari successivi alla riforma, durati tutta l’estate, costrinsero gli istituti a rinunciare alla chiamata diretta. Quest’anno il Ministero ha provato a muoversi per tempo: il ministro Valeria Fedeli aveva intimato alle scuole di concludere le procedure entro Ferragosto, così poi da poter riempire i posti rimanenti con le supplenze in tempo per il suono della prima campanella. Ma le scadenze così serrate hanno mandato in tilt le segreterie. E da nord a sud l’immissione in ruolo dei neoassunti (circa 52mila in tutta Italia, ma alla fine sono stati almeno 13mila di meno) è diventata praticamente una lotteria.

LE ACCUSE DEI DOCENTI – Quando la selezione è lasciata al giudizio arbitrario del dirigente, il sospetto dell’ingiustizia è dietro l’angolo: non si contano i casi di docenti che si lamentano del trattamento ricevuto. A Bergamo c’è l’insegnante di spagnolo che denuncia di essere stata scartata perché in maternità: “La mia storia è molto semplice: con un bimbo appena nato avrei avuto diritto a tre mesi ad orario ridotto, ma chi la vuole una docente che ti lascia dei buchi da coprire?”. A Roma la prof di matematica aveva tutti i titoli richiesti dal bando, ma si è vista superare da un collega con meno punteggio, che però in quella scuola aveva già lavorato. “Guarda caso hanno scelto uno che era lì da tre anni. Quando l’ho scoperto tremavo dalla rabbia”. Sempre nella Capitale, diversi maestri sono stati assunti su dei posti che poi si è scoperto essere inesistenti, e quindi sono stati sbattuti in uno sperduto paesino di montagna. A Milano, in compenso, un professore di latino è stato assegnato ad un istituto tecnico, dove il latino non è neanche previsto nei corsi: “Mi aspetta un triennio in cui verrò utilizzato come tappabuchi e non potrò insegnare la materia per cui ho studiato per anni. È questa la ‘buona scuola’ che avevano in mente al Ministero?”.

LA RINUNCIA DEI PRESIDI – Risultato: i docenti rimpiangono il vecchio sistema delle graduatorie (“quello almeno non scontentava nessuno”, ripetono in coro su forum specializzati e gruppi Facebook di protesta). Ma persino i dirigenti scolastici sono insoddisfatti: “La procedura è troppo laboriosa e si scontra con le scadenze fissate dal Miur, il rischio di vedersi recapitare ricorsi e accessi agli atti è dietro l’angolo. E non c’è nemmeno la certezza di veder arrivare l’insegnante prescelto, visto che un docente se riceve più offerte può andare dove vuole. La verità è che il gioco non vale la candela”, conclude il preside Delfino. Così in molti hanno rinunciato: “Impossibile fare una stima precisa, perché la situazione cambia da territorio a territorio, ma dalle testimonianze dei miei presidi posso dire che praticamente uno su due non l’ha fatta”. La chiamata diretta è rimandata di un altro anno. Sempre che al Ministero non si arrendano prima, decidendo di rinnegarla una volta per tutte.

Twitter: @lVendemiale