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Acciaierie Piombino, Cevital al capolinea dopo 3 anni. Per il siderurgico rispunta Jindal, che il governo non volle nel 2014

Salutata da Renzi come "un'operazione strategica", la vendita delle ex Lucchini all'algerino Issad Rebrab si è dimostrata un fallimento. Il commissario Nardi e il ministro Calenda mettono alle strette i proprietari dello stabilimento. E per l'acquisto rispuntano gli indiani di Jindal, 'scartati' tre anni fa e sconfitti nella corsa all'Ilva

Quasi tre anni fa, il governo di Matteo Renzi disse “no, grazie” proprio a loro e scelse l’algerino Issad Rebrab per rilanciare le agonizzanti acciaierie di Piombino. Adesso, dopo che è stato disatteso qualsiasi impegno e lo stabilimento toscano si sta lentamente spegnendo, tutti tifano per Jindal, che a giugno ha preso una porta in faccia nella vicenda Ilva dopo lo schiaffo per l’ex Lucchini – ora Aferpi – nel dicembre 2014.

Perché quella che il segretario del Pd, all’epoca anche premier, aveva salutato come “un’acquisizione strategica” – legando l’accordo con Cevital del magnate algerino ad altri ‘grandi successi’ come la norma sul rientro di capitali, l’autoriciclaggio, Terni, l’Ilva, la nomina di Guerra e perfino alla panacea di tutti i mali nel mondo del lavoro, il Jobs Act – si è trasformato in un affaire quanto meno complicato. E il nuovo cavaliere bianco è proprio il gigante indiano dell’acciaio, alla ricerca di un cavallo di Troia per entrare nel mercato europeo da ormai tre anni.

Solo che adesso Rebrab vuole trattare l’uscita e ‘fa il prezzo’, visto che nel frattempo in Toscana ha investito 120 milioni di euro – a fronte di progetto complessivo che prevedeva una spesa otto volte più grande – perdendone circa 60. E nel dialogare con Jindal il tema è squisitamente economico. Il governo non sta a guardare e mette alle strette Cevital dopo nuove aperture di credito e mesi di blandi richiami, cresciuti poi con l’aumentare dell’allarme da parte di sindacati ed enti locali. Il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e il commissario straordinario Pietro Nardi hanno battuto i pugni sul tavolo sancendo il fallimento della scelta del governo Renzi.

Nardi ha contestato alla società algerina il mancato adempimento degli obblighi assunti a giugno con la firma dell’addendum che spostava più in là i termini per rimettere in moto l’impianto. Calenda ha fatto il resto, chiarendo che “è prossimo il momento di ricercare soluzioni alternative“. Negli scorsi tre mesi, infatti, Aferpi avrebbe dovuto riavviare i lavori e attivarsi per trovare un partner strategico entro ottobre. Tutto in alto mare. Quindi ora ci sono due opzioni sul tavolo.

La più corposa riguarda la cessione integrale del comparto siderurgico da parte di Cevital. Secondo diverse fonti, c’è una trattativa avanzata con Jindal, che ha già incontrato il sindaco di Piombino Massimo Giulianida anni accanto ai lavoratori – e il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi. Si parla di 1.800 posti di lavoro garantiti e della riattivazione dell’altoforno. Il punto è il prezzo d’acquisto. E qui, può giocare un ruolo il governo premendo su Cevital, visto che ha in mano le carte per estrometterla dal controllo delle acciaierie. L’addendum firmato a giugno, infatti, prevedeva la rescissione per inadempienza nel contratto.

Martedì prossimo Calenda incontrerà l’ad di Cevital, Said Benikene, e poi convocherà un incontro con i sindacati. Rosario Rappa, segretario generale della Fiom Cgil, dice che “dopo mesi nel corso dei quali abbiamo ribadito i problemi di Piombino, finalmente il governo sta cambiando rotta”. Se però Aferpi e Jindal non dovessero arrivare alla stretta di mano, il commissario Nardi, in base all’addendum, provvederà ad esautorare Rebrab. In quel caso, l’acciaieria tornerebbe nelle mani dell’amministrazione straordinaria e bisognerà ripartire dalla stessa casella del dicembre 2014. Con Jindal questa volta in prima fila, dopo tre anni di solidarietà e cassa integrazione figlie della grande ‘acquisizione strategica’ annunciata da Renzi.