Diritti

Giulio Regeni, non si può sostituire la verità con la memoria

L’informativa con cui ieri il ministro degli Esteri ha motivato alle Commissioni Esteri di Camera e Senato la decisione del 14 agosto di rimandare l’ambasciatore italiano al Cairo, ha confermato quanto il tema dei diritti umani abbia un peso variabile nelle relazioni bilaterali: sacrificabili i primi in nome della stabilità delle seconde.

Non sono tra coloro che ripetono, come un mantra, che “il ritorno dell’ambasciatore favorirà la ricerca della verità” sulla sparizione, la tortura e l’assassinio di Giulio Regeni (ma non era stato richiamato per lo stesso motivo?). La stampa egiziana ha accolto quella decisione con entusiasmo, sottolineando la resa italiana: “Ciò che Giulio Regeni aveva impedito, la Libia ha consentito”; “Ha prevalso la logica della politica sull’etica e sulle emozioni”, per citare un paio di commenti.

La conclusione dell’intervento del ministro Alfano ha dato una sensazione di abdicazione, di un progressivo tentativo di sostituire la verità con la memoria: con le targhe, con le commemorazioni, con le dediche, con le intitolazioni. Consegnare alla storia Giulio Regeni senza conoscere i nomi e i volti dei responsabili della sua morte e però almeno ricordarlo bene.

La proposta di dedicare a Giulio Regeni istituti e sedi scientifiche e culturali al Cairo, oltre che essere infelice (ci sarebbe anche il presidente al-Sisi alle inaugurazioni e allo svelamento delle targhe?) va proprio in quella direzione.

Invece, molto altro andrebbe ancora fatto dal governo italiano in favore della verità. Ad esempio, portare sul piano internazionale il tema delle violazioni dei diritti umani in Egitto attraverso tutti gli strumenti previsti dalle Nazioni Unite: risoluzioni della Commissione dei diritti umani, sollecitazione di indagini dei relatori speciali sulla tortura e sulle sparizioni forzate, contenzioso giudiziario come previsto dalla Convenzione contro la tortura….

Cose che l’Italia avrebbe potuto fare già da tempo, evitando che il richiamo dell’ambasciatore restasse l’unico strumento di pressione e – rinunciato a quello – non ve ne fossero più altri.

In ogni caso, per la memoria c’è tempo.