Economia

Povertà, quando il Big Mac è testimonial del salario minimo in caso di inflazione

Per Orley Ashenfelter, professore americano alla Princeton University nello Stato del New Jersey, il celebre panino ha svelato tanti segreti dell’economia globale e può quindi essere uno strumento utile alla politica per misurare il benessere della popolazione nell’ambito di un confronto internazionale

C’è Big Mac e Big Mac. Quello in India ad esempio non può contenere carne di manzo, ma è a base di pollo. Tuttavia, a dispetto di piccole differenze, la generazione McDonald’s è una sola: è quella che può essere misurata in panini rispetto alla paga oraria. E che racconta un mondo disuguale dove i più poveri, con un’ora di lavoro, non possono permettersi neanche un pasto completo nella nota catena di ristorazione americana e sognano di espatriare per cercare lavoro nel McDonald’s di un Paese ricco. Non solo: il celebre indice Big Mac, che l’Economist sdoganò nel 1986, descrive anche come nel mondo occidentale i salari non crescano più come in passato. E, in caso di inflazione, è un’arma a favore di chi sostiene la necessità di introdurre un salario minino contro l’impoverimento dei lavoratori.

Per Orley Ashenfelter, professore americano alla Princeton University nello Stato del New Jersey, il Big Mac ha svelato insomma tanti segreti dell’economia globale e può quindi essere uno strumento utile alla politica per misurare il benessere della popolazione nell’ambito di un confronto internazionale. Intervenuto all’ultimo Festival dell’economia di Trento, Ashenfelter ha illustrato infatti come uno dei più noti panini del mondo possa trasformarsi in una vera e propria “unità di misura del benessere mondiale, ovvero il numero di panini acquistabili con il compenso di un’ora di lavoro”.

La confrontabilità di questo prodotto consente di fare paragoni in giro per il mondo e di avere serie storiche che raccontano come le diverse economie internazionali si evolvono. Grazie ad anni di dati raccolti in giro per il mondo, Ashenfelter ha potuto dimostrare che se in tutti i Paesi cosiddetti sviluppati si possono comprare due o tre hamburger con la paga prevista per un’ora lavorativa, in quelli in via di sviluppo invece la paga oraria permette sì e no di acquistarne un terzo. Inoltre “dalla ricerca risulta che i salari pagati da McDonald’s sono abbastanza simili nei Paesi del mondo ricco, mentre tra i Paesi cosiddetti emergenti lo stipendio medio varia da un livello pari a un terzo di quello dei lavoratori statunitensi per chi lavora in Russia, fino al 6% del salario nordamericano per i ragazzi che lavorano nei McDonald’s in India”, ha spiegato Ashenfelter.

Lo studioso ha inoltre anche potuto riscontrare differenze sul lungo periodo: “Nei primi sette anni del nuovo secolo, ad esempio, il salario dei lavoratori di questa compagnia negli Usa è cresciuto di poco più del 10% in totale mentre il prezzo del panino è cresciuto di poco più del 20%, con il risultato di una riduzione netta nel salario reale”, ha rilevato. Naturale quindi che alcuni Stati come il New Jersey si siano visti costretti ad introdurre il salario minimo. Una misura che ha evitato il progressivo impoverimento dei lavoratori di McDonald’s. Almeno in quello Stato.