Diritti

Disabilità, l’estate è arrivata e con lei le vacanze. Per chi può permettersele

E da dove inizio oggi il mio consueto racconto? Ho incontrato tante famiglie in questi mesi. Ho cercato innanzitutto di rassicurare quanti vivono con grande angoscia il sopraggiungere delle vacanze estive. Un trimestre che, se per molti diventa occasione di viaggi, sole, relax, gelati e passeggiate, per altri rappresenta un vero incubo soprattutto psicologico.

Non voglio soffermarmi la chiusura delle scuole perché non ritengo che la scuola abbia responsabilità nel vuoto che si apre nel periodo estivo per persone fragili, indifese e spesso molto sole.

In questi ultimi due mesi ho incontrato famiglie che non possono neanche andare a prendere un gelato o uscire per una passeggiata. O anche semplicemente andare a fare un bagno in quel mare che, in alcuni casi, hanno a pochi metri da casa. Ci sono mariti e mogli che non possono né muoversi né uscire dalla propria abitazione a causa di un’assistenza ridotta all’osso. I motivi sono sempre i soliti: assenza di fondi, ritardi o banalmente ferie degli operatori socio sanitari anche domiciliari.

Poi ci lamentiamo dell’isolamento e della mancata inclusione? Se ci soffermassimo a ragionare un momento, capiremmo che alcune situazioni mettono ansia anche solo osservandole dall’esterno. E non tutti hanno la voglia o forse anche il coraggio di tendere la mano per assottigliare distanze che sembrano infinite.

Prima di tutto i costi dell’accessibilità. Per la disabilità motoria grave esistono ancora infinite, immense e invalicabili barriere. Personalmente non posso viaggiare con mia figlia Diletta se non giocando a un assurdo Monopoli. Per lei e per noi è indispensabile avere un letto che si sollevi in altezza ma nessuna norma prevede una tale dotazione anche nelle camere cosiddette “accessibili”. E quindi noi rimaniamo fuori dal 100% delle ipotesi vacanziere. L’alternativa rimane quella di optare per un corso di sopravvivenza full time di alza, solleva, sposta, rialza ecc…

Altri, più fortunati, si organizzano: piccole case vacanze, camper o roulotte adattate dalle singole famiglie alle singole esigenze. E’ questo, quindi, l’unica tipologia di spostamento concessa a queste realtà. Una tipologia per nulla economica.

Eppure, mentre la politica discute ancora sull’opportunità o meno di cancellare i vitalizi, nessuno si occupa del fatto che manchino ancora contributi seri, concreti e sufficienti per rendere possibile il turismo per tutti (che sia per tutti davvero ). E’ la ricchezza della singola famiglia a fare la differenza tra sostenibilità e impossibilità, tra vacanze e reclusione. Non si parla di ricchezza vera, quella dello sperpero, ma di un passo oltre l’indispensabile. In troppi non arrivano a fare nulla con quelle pensioni miserabili che spingono ai margini i familiari accudenti.

Non basta. La burocrazia fa il resto. Se si ha la fortuna di essere seguiti in un centro di riabilitazione presso il quale sono trascorsi anni di lista di attesa, si ha diritto a 15 giorni di ferie o si rischia un calcione nel sederino e un “riparti da dove hai cominciato”. Bisogna produrre carte, documenti, certificati e umiliarsi per dimostrare che le mille patologie connesse alla condizione della disabilità spingono per la necessità di fuggire quel caldo torrido che si avverte nei centri urbani.

Attenzione perché poi arriva il versante vacanze. Praticamente tutte le famiglie che ho incontrato mi dicono rassegnate: “In vacanza dove? Senza un aiuto fisico, io non ce la faccio più! Senza ausili e senza aiuti che vacanza sarebbe?”. E’ allora che si logorano persone già tanto provate. Cosa fare allora? Partire e affidare il proprio congiunto a qualcuno? No! Per fortuna sono rare le scelte di questo tipo tra le famiglie con disabili a carico.

O meglio, esistono molti genitori che si separano. Se di solito, in questi casi, i figli diventano merce di scambio o di ricatto, quando si tratta di disabili gravi capita l’esatto contrario. Uno dei due si dissolve, si ricostruisce una nuova vita e manda una specie di obolo lava coscienza all’altra parte di famiglia. Nel mondo c’è comunque posto per tutti e non tutti abbiamo le stesse forze.

Sono questi i momenti in cui mi allontano anche dal mio pc, assorbita totalmente da situazioni difficili, ma affascinanti perché vere, intense e piene di coraggio. Ciò che queste famiglie mi hanno regalato in questi anni non potrà mai essere misurato. Al di là dei trucchi del mestiere di mamma special edition come ad esempio un velo di nutella sulle labbra per far esercitare i muscoli della bocca o ciambelle da mare infilate in borsa da usare come cuscini al bisogno o chissà cos’altro, esiste una stretta in quegli abbracci che lascia tanta pace dentro il cuore.

Esistono fratelli e sorelle che soffrono della propria diversità riflessa ed è difficilissimo spiegare loro che avranno una vita intera per viaggiare e che ora è più importante viaggiare verso la consapevolezza che non tutto e non sempre si può fare come si vuole. Chissà se poi si toglie loro davvero qualcosa o se, in questo mondo che offre tutto senza più far desiderare nulla, non finisca che siano proprio loro i privilegiati.

Ci si aiuta, ognuno come può. La rete sociale è alla base di tutto e in Italia è sempre più presente, attiva e indispensabile. Esistono troppe realtà che vivranno al buio fino a settembre. Un buio pesante e cattivo che proverà la loro resistenza ancora una volta, l’ennesima, e ogni volta rimescolerà tutto il dolore, tutta l’ingiustizia, tutto l’abbandono.

Vorrei trasmettere a tutti la loro forza, l’ottimismo, il loro essere. Ho in mente gli occhi di una mamma in particolare, abbracciata ai suoi figli in una casa trasformata in un parco divertimento. Siete meravigliosamente strepitosi.

Con questa bella immagine auguro a tutti di vivere qualche giorno di meritato riposo, qualche momento di spensieratezza e di afferrare una positiva sferzata di nuova energia. Il nostro è un mondo difficile, ma questo lo sapevamo già.