Capitoli

  1. Paolo Borsellino, i misteri sulla strage di via d’Amelio 25 anni dopo: dal depistaggio senza colpevoli all’Agenda rossa
  2. La parole di Fiammetta
  3. Borsellino quater, Scarantino indotto a mentire: ma da chi?
  4. Un "orsacchiotto con le batterie": cronaca di un depistaggio
  5. I poliziotti che non ricordano
  6. Servizi, 007 e Facce da mostro per la strage nera
  7. La scomparsa dell'Agenda rossa, la scatola nera
  8. La verità di Spatuzza 10 anni prima: ma nessuno fece niente
Mafie

La parole di Fiammetta - 2/8

A un quarto di secolo dal 19 luglio del 1992 sono quattro i processi celebrati per fare luce sull'assassinio del magistrato palermitano e dei cinque uomini della scorta. Eppure ancora oggi rimangono molteplici gli interrogativi che non hanno mai ricevuto una risposta: dalle modalità del depistaggio, a chi lo ha condotto, al motivo per cui sono state depistate le indagini. E poi la scomparsa dell'Agenda rossa, l'ipotesi sul coinvolgimento di soggetti esterni a Cosa nostra, l'accelerazione del progetto di morte eseguito solo 57 giorni dopo l'omicidio di Giovanni Falcone

Fiammetta Borsellino

A chiedere che le (poche) verità raggiunte fino a questo momento sull’omicidio di Paolo Borsellino non siano le uniche è stata di recente una testimone d’eccezione. Il 23 maggio del 2017 è l’anniversario numero 25 della strage di Capaci. Per l’occasione la Rai manda in onda uno speciale per ricordare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino. La serata, condotta da Fabio Fazio, si trascina – come spesso capita in queste occasioni – tra testimonianze, ricostruzioni e un velo di retorica. A spezzare il ritmo di una narrazione istituzionale dei botti del 1992 arrivano, però, le parole di Fiammetta Borsellino: è la figlia minore di Paolo, aveva 19 anni quando le uccisero il padre, e da allora non ha quasi mai fatto sentire la sua voce durante eventi pubblici simili. Quel giorno, però, Fiammetta Borsellino decide di parlare. “Noi dobbiamo pretendere la restituzione di una verità che dia un nome e un cognome a quelle menti raffinatissime che con le loro azioni e omissioni hanno voluto eliminare questi servitori dello stato, quelle menti raffinatissime che hanno permesso il passare infruttuoso delle ore successive all’esplosione, ore fondamentali per l’acquisizione di prove che avrebbero determinato lo sviluppo positivo delle indagini”, ha detto Fiammetta Borsellino, pronunciando parole che hanno un peso specifico non indifferente. Poco più di un mese prima, infatti, la corte d’assise di Caltanissetta aveva emesso la sua sentenza alla fine del quarto processo sulla strage Borsellino. Sentenza che non fa altro che confermare quanto detto da Spatuzza: via d’Amelio non l’ha certo fatta Scarantino e i suoi poveri complici posticci, ma il gruppo di fuoco di Brancaccio, il mandamento guidato dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. E quindi ergastolo per i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, il primo mandante e il secondo esecutore della strage finora sfuggiti ai processi precedenti, dieci anni per i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia per aver avvalorato con le loro dichiarazioni il clamoroso depistaggio.