Scienza

Charlie Gard, ecco in cosa consiste la terapia sperimentale proposta dal Bambino Gesù di Roma

Il giudice Francis chiede più tempo e nuovi dati. Per il bimbo colpito da una malattia genetica congenita la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo aveva deciso lo spegnimento dei macchinari che lo tengono in vita, ma poi era arrivata una lettera con la proposta di un protocollo sperimentale

“Ci sono evidenze di laboratorio che il protocollo per la cura di Charlie Gard possa funzionare”. È tutto in queste parole il senso del nuovo pronunciamento chiesto dall’ospedale britannico Great ormond street hospital (Gosh) all’Alta corte di giustizia inglese. Pronunciamento che potrebbe arrivare domani o sabato. Il giudice Francis chiede più tempo e nuovi dati. Per il bimbo colpito da una malattia genetica congenita la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo aveva deciso lo spegnimento dei macchinari che lo tengono in vita, ma poi era arrivata una lettera con la proposta di un protocollo sperimentale.

Le parole di speranza sono contenute in una missiva inviata nei giorni scorsi dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma – che si era già detto disponibile ad accogliere il bimbo – ai colleghi britannici che lo hanno in cura. Una lettera pubblicata sul profilo Facebook “Charlie’s Army” dalla zia del bambino. A firmarla, un team internazionale di scienziati coordinati dal Bambino Gesù, formato da sette studiosi: due italiani, un inglese, due spagnoli e due statunitensi. Nella missiva si presentano come “clinici e ricercatori di malattie mitocondriali, che studiano da molti anni la sindrome da deplezione del Dna mitocondriale”, patologia congenita del piccolo Charlie. Nella lettera gli studiosi informano i colleghi del Gosh che in alcuni test preliminari sui topi un loro protocollo ha ottenuto risultati incoraggianti nell’invertire la degenerazione cellulare causata dalla sindrome del piccolo Charlie. Un risultato che non è stato ancora pubblicato sulle riviste scientifiche. Che, quindi, i medici del Gosh non potevano conoscere. E che spiega la riservatezza dei ricercatori del Bambino Gesù che, in queste ore, si astengono dal parlare nel merito della terapia sperimentale.

Proprio dalla stessa missiva si possono, tuttavia, ricavare maggiori informazioni su questo nuovo trattamento. Da quanto indicato nella lettera, si apprende, infatti, che la nuova terapia è basata sull’utilizzo di mattoni di base, precursori molecolari, per l’assemblaggio del Dna. Quel codice della vita che nei geni del piccolo Charlie presenta degli errori, responsabili del malfunzionamento delle centrali energetiche delle sue cellule, i cosiddetti mitocondri. L’obiettivo della terapia è tentare di ripristinarne la corretta funzionalità, fortemente compromessa nel bimbo, con conseguenze nello sviluppo cerebrale e muscolare. Questi precursori utilizzati a scopo terapeutico “se forniti in laboratorio a colture di cellule umane – scrivono i ricercatori del Bambino Gesù nella loro missiva – potrebbero essere in grado d’intensificare la duplicazione del Dna mitocondriale”. Un risultato che, nei topolini di laboratorio trattati finora con questo protocollo, ha portato a benefici nelle cellule cerebrali. Ma che nell’uomo non è stato ancora mai sperimentato. “Siamo consapevoli – scrivono i ricercatori nella loro missiva – che si tratti ancora di una terapia sperimentale e che andrebbe, pertanto, testata su modelli animali. Ma – aggiungono -, siamo altrettanto convinti che non ci sia tempo a sufficienza per condurre questi test. Non per Charlie Gard, colpito da una grave encefalomiopatia. Pertanto, alla luce di queste nuove importanti informazioni sperimentali – concludono i ricercatori del Bambino Gesù -, raccomandiamo rispettosamente di riconsiderare il trattamento per Charlie Gard”. “Si può provare la cura sperimentale – aveva dichiarato alle agenzie nei giorni scorsi Bruno Dallapiccola, genetista e direttore scientifico del Bambino Gesù – non per fare contenti i genitori ma perché c’è una piccola, concreta, speranza, supportata da dati scientifici, che ci autorizza a dire che non dobbiamo buttare la spugna”. L’appello degli scienziati è ancora sub judice.