Cronaca

Cara di Mineo, la commissione parlamentare d’inchiesta: “Sprechi, indagini e business: chiudere il centro”

I deputati votano all'unanimità la relazione conclusiva sul centro per richiedenti asilo in provincia di Catania. Nel documento di 66 pagine ricostruiscono tutta la storia del centro per richiedenti nato nel 2011 durante la cosiddetta primavera araba. Palazzotto (Si): "Modello criminale e criminogeno, nato per lucrare sui rifugiati". Corrao (M5s): "Il sottosegretario Castiglione deve dimettersi"

Il centro per richiedenti asilo di Mineo deve essere chiuso nel più breve tempo possibile. A dirlo questa volta non è un’inchiesta giornalista o un’indagine della magistratura ma una commissione parlamentare d’inchiesta. È questa infatti la conclusione alla quale sono arrivati i deputati di tutti i partiti raggruppati nella commissione d’inchiesta sui Cie e Cara che stamattina hanno votato all’unanimità la relazione sul centro siciliano. Un documento che arriva dopo un lavoro lungo e complesso. E che mette in fila tutti i punti oscuri sul Cara siciliano, finito al centro dell’inchiesta romana su Mafia capitale, ma anche delle indagini per turbativa d’asta e corruzione elettorale delle procure di Catania e Caltagirone. L’esempio più lampante di quella che i pm etnei definiscono “una spregiudicata gestione dei posti di lavoro (circa 400) per l’illecita acquisizione di consenso elettorale” e che fa emergere come vari esponenti del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano abbiano abbiano messo le mani sul business dell’accoglienza (leggi l’inchiesta del fattoquotidiano.it).

Mineo emblema fallimentare – In questo senso le 66 pagine della relazione ricostruiscono tutta la storia del centro per richiedenti nato nel 2011 durante la cosiddetta primavera araba. “Dall’indagine svolta dalla Commissione sulla situazione del centro di Mineo – scrivono i parlamentari – nonché sulle vicende che ne hanno caratterizzato la nascita e le successive fasi della gestione, emergono elementi di criticità tali da fare di questo centro un caso emblematico, non solo perché si tratta della struttura più grande d’Europa destinata all’accoglienza dei migranti, ma anche perché rappresenta in qualche modo un caso di scuola delle contraddizioni e dei limiti insiti in un approccio evidentemente fallimentare al fenomeno migratorio e alla gestione dell’accoglienza”.

“Prezzi superiori a quelli di mercato” – Per la commissione è da censurare già la decisione di far sorgere il Cara al Residence degli Aranci,  400 villette di proprietà della Pizzarotti di Parma affittate per circa sei milioni di euro. ” La scelta del Residenze degli Aranci – si legge nella relazione – appare discutibile non solo per la sua dimensione ma anche per il costo di gran lunga superiore a quello di mercato, e non è chiaro perché si sia rinunciato a reperire beni demaniali o ricercare soluzioni comunque meno onerose. Questa anomalia si protrae pure nella successiva fase di passaggio alla gestione ordinaria, fino a determinare – con l’ingresso della società Pizzarotti nell’associazione d’imprese candidata alla gestione del centro – una totale convergenza di interessi fra la proprietà immobiliare e le società incaricate della gestione del centro stesso”.

L’inferno di Stato: “Condizioni fatiscenti” – E se in precedenza quelle villette monofamiliari immerse nella campagna siciliana erano destinate ai militari statunitensi di stanza alla base di Sigonella, le condizioni cambiano radicalmente quando invece cominciano ad essere usate per ospitare profughi, come documentato da un’inchiesta del fattoquotidiano.it già nel 2014. Sul punto la commissione parlamentare è tranciante: “Le condizioni igienico-sanitarie della struttura – scrive – sono precarie, gli appartamenti spesso fatiscenti, gli ospiti lamentano di non ricevere regolarmente i prodotti per la pulizia della casa e l’igiene personale. Il servizio medico è deficitario. È insufficiente rispetto al numero degli ospiti la disponibilità di figure professionali adeguate e sono deficitari i servizi di mediazione linguistico-culturale, consulenza legale, sostegno psicologico, le attività di formazione e orientamento all’integrazione. La mancanza di spazi di socialità costringe gli ospiti a vagare per il villaggio costretti di fatto all’inattività forzata, spesso per mesi, e questo produce uno stato alienante di attesa, di isolamento fisico e morale che rappresenta uno dei più diffusi problemi riscontrati”.

Assunzioni arbitrarie e scarsa trasparenza – Poi ovviamente ci sono i problemi di natura legale che coinvolgono praticamente ogni ambito della gestione di Mineo. “La Commissione ha potuto infatti rilevare, nel corso dei suoi sopralluoghi, scarsa trasparenza e molte opacità nell’amministrazione: dalle assunzioni del personale per chiamata diretta e senza alcuna verifica dei requisiti professionali alla scelta clientelare dei fornitori, a prescindere da ogni criterio di concorrenza, per arrivare alla gestione poco trasparente del pocket money e alle irregolarità nella comunicazione alla Prefettura del numero delle presenze giornaliere, questione che ha causato l’avvio di una specifica indagine giudiziaria sull’ipotesi del reato di truffa da parte della procura di Caltagirone”.

“Il direttore imputato: rimuovetelo” – Il riferimento è al processo che vede imputato l’attuale direttore del centro, imputato per truffa. “Sotto questo aspetto, fermo restando il rispetto dei diritti delle persone coinvolte dal seguito giudiziario riferito alle vicende del centro di Mineo, la Commissione ritiene che risulti fortemente inopportuno che le funzioni di direttore del centro restino affidate a Sebastiano Maccarone, sotto processo per truffa aggravata, per aver attestato falsamente, in concorso con altri, la presenza di immigrati presso il centro, ricevendo i conseguenti corrispettivi. Si chiede pertanto che il delicato incarico sia affidato a persona estranea alle vicende processuali, destinando il signor Maccarrone ad altra attività”.

Le indagini: da Mafia capitale all’Anac – Quindi i parlamentari mettono in fila le inchieste giudiziarie che hanno coinvolto il centro. “Ci sono i legami con la vicenda di Mafia capitale e il ruolo svolto da Odevaine come tramite fra i tavoli romani e il territorio catanese, la nascita del Consorzio Calatino Terre d’accoglienza, la sua trasformazione in stazione appaltante fortemente sollecitata dalle imprese locali, la gara dichiarata illegittima dall’Anac perché preconfezionata allo scopo di favorire l’affidamento a un unico concorrente. Infine, appare evidente l’intreccio fra il Consorzio appaltante, le cooperative vincitrici e alcuni politici locali, che lascia trasparire una gestione clientelare del centro anche al fine di acquisire e distribuire vantaggi economici e scambiarli con consensi elettorali“.

La storia del centro di Mafia capitale – Il riferimento è a quanto raccontato da Luca Odevaine, l’uomo di Mafia capitale nella gestione dei migranti, storico consulente del centro e membro della commissione che sceglieva a chi affidare la gestione milionaria dell’accoglienza. Odevaine ha patteggiato sei mesi per la concessione dell’appalto dei servizi, dal 2011 al 2014, ed è stato condannato a due anni e otto mesi per le tangenti ricevute negli appalti vinti dalla cooperativa La Cascina. Sulla base anche delle sue dichiarazioni i pm hanno aperto un’inchiesta per turbativa d’asta e corruzione elettorale e a febbraio scorso hanno chiesto di processare il sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione, la sindaca di Mineo Anna Aloisi, e Paolo Ragusa, ex presidente di Sol Calatino, la coop che gestiva il Cara: tutti e tre sono (o sono stati) esponenti del Nuovo Centrodestra. Il consorzio Sol Calatino di Ragusa, citato più volte nelle inchieste, fa parte dell’associazione temporanea d’imprese Casa della Solidarietà, che metteva insieme aziende legate ad ambienti politici di centrodestra e di centrosinistra: dal consorzio Sisifo, iscritto a Legacoop, fino a Senis Hospes e La Cascina, vicine a Comunione e Liberazione. Si tratta delle stesse cooperative che gestiscono anche altri centri nel resto d’Italia e che nel 2014 vincono la gara d’appalto per la gestione di Mineo: un bando da 100 milioni di euro, poi bloccato dal presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, che lo ha definito “un abito su misura”. “Tutti i sindaci appartenenti al consorzio – ha raccontato Odevaine – si sono riuniti con Paolo Ragusa per spartire il numero delle assunzioni da fare”. È in questo modo che il personale assunto al centro per richiedenti asilo si trasformava in un bacino sicuro di voti in tempi d’elezioni.

Le reazioni politiche di Si e M5s: “Castiglione si dimetta” – Insomma il quadro emerso dall’indagine parlamentare è desolante.  I deputati, infatti, definiscono il centro come “una ghiotta occasione di business per alcuni, oppure la possibilità- altrimenti insperata – di un posto di lavoro per altri. Ma così si rischia anche di condizionare le scelte delle istituzioni e degli operatori locali. In questi casi il risultato diventa fatalmente quello di strutture inadeguate ai bisogni dei migranti, di un uso discutibile delle risorse, di episodi di arbitrio e corruzione“. Per questo motivo la commissione chiede la chiusura immediata del centro.  “Dall’individuazione della struttura alla scelta dell’ente gestore è evidente come il fenomeno corruttivo al centro delle indagini di tre Procure, nasca dal rapporto perverso tra la politica ed una parte del sistema di impresa legato all’accoglienza. Un modello criminale e criminogeno che nasce col chiaro intento di lucrare sulla pelle dei rifugiati”, fa notare Erasmo Palazzotto, deputato di Sinistra Italiana, che chiede le dimissioni del sottosegretario Giuseppe Castiglione.  “Dalla relazione – continua Palazzotto – emerge poi una chiara responsabilità politica oltre che morale sulla vicenda Mineo. Per la prima volta si affronta un problema che la politica per troppo tempo ha voluto ignorare a partire dal ministro Alfano che ha sempre protetto quel sistema”. Mette nel mirino Castiglione anche l’europarlamentare del M5s, Ignazio Corrao. “Le risultanze della commissione parlamentare – dice Corrao – gettano ombre sul sottosegretario Castiglione che non possono appartenere ad un uomo di Governo, a prescindere dall’esito giudiziario dell’inchiesta dei pm di Catania. Castiglione deve dimettersi, se non lo fa lui, sia Gentiloni ad accompagnarlo alla porta”.