Scienza

Vaccini, in 15 paesi europei nemmeno uno obbligatorio. “L’imposizione non fa crescere la copertura”

In Germania e Regno Unito le vaccinazioni sono tutte raccomandate, con risultati di copertura soddisfacenti. Per l'epidemiologo Giovanni Rezza "influisce molto il contesto culturale dei singoli Paesi". In Italia, ad esempio, secondo i dati dell’Ocse, la copertura è piuttosto bassa (86%) contro il morbillo. Più alta, il 94%, quella contro difterite, tetano e pertosse, contenuti nell'esavalente di fatto già obbligatorio. La varicella? Secondo gli ultimi dati disponibili, è obbligatoria solo in Lituania

C’è chi, come l’Italia, ha scelto la strada dell’obbligatorietà. Chi, invece, all’obbligo preferisce la raccomandazione. E chi ancora, come la Germania, ha adottato, unica in Europa, una via intermedia: nessun obbligo, ma necessità di un certificato per l’iscrizione a scuola. Le scelte dei Paesi europei sulla migliore strategia da adottare rispetto al tema delle vaccinazioni sono le più diverse. “Dipendono da ragioni di tipo storico, culturale e politico più che basate sull’evidenza scientifica”, sottolineano gli esperti di Venice (Vaccine european new integrated collaboration effort), un panel di scienziati che ha condotto un’indagine in 29 Paesi (27 Paesi dell’Ue, più Islanda e Norvegia), relativo “all’attuazione e implementazione dei programmi vaccinali nazionali”, i cui risultati sono stati pubblicati nel maggio 2012.

Si tratta dello studio “Eurosurveillance”, commissionato e finanziato dall’European centre for disease prevention and control (Ecdc), da cui emerge che 15 dei 29 Paesi interessati – Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Irlanda, Islanda, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito – non hanno alcuna vaccinazione obbligatoria, e che gli altri 14 ne prevedono almeno una all’interno del proprio programma vaccinale nazionale.

Dall’analisi dei dati si può notare come la vaccinazione contro la polio sia obbligatoria per tutti i bambini in 12 Nazioni europee. In Belgio e Olanda, ad esempio, è l’unico vaccino per cui è previsto un obbligo. Quella contro la difterite e il tetano è, invece, obbligatoria in 11 Paesi, mentre la vaccinazione contro l’epatite B in 10 Nazioni, soprattutto dell’est Europa. Riguardo la varicella, malattia inserita dall’Italia tra le 12 per le quali è previsto l’obbligo di vaccinazione, stando ai dati dello studio del 2012 solo in un Paese, la Lituania, esiste un obbligo. Per otto dei 15 vaccini considerati dallo studio, inoltre, alcuni Paesi europei hanno adottato una strategia mista, tra vaccinazioni raccomandate e obbligatorie. Di solito questo tipo di strategia comporta che la vaccinazione sia raccomandata per tutta la popolazione, ma di fatto obbligatoria solo per alcuni gruppi particolarmente a rischio. “Non ha senso discutere di vaccini come qualcosa da prendere o lasciare in blocco. Ogni vaccino ha un peculiare profilo di efficacia, effetti collaterali, costi e va dunque valutato in modo specifico”, sottolinea la Rete sostenibilità e salute (Rss), che raccoglie 25 associazioni, composte da medici, operatori sanitari e cittadini.

“L’indicatore migliore per valutare l’efficacia delle varie scelte – sottolineano gli esperti di Venice – rimane la copertura vaccinale, valutata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in base ai dati disomogenei trasmessi dai vari Paesi”. In Italia, ad esempio, secondo i dati dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico relativi al 2014, è piuttosto bassa la copertura vaccinale contro il morbillo, pari all’86%. Più alta, il 94%, quella contro difterite, tetano e pertosse. In Francia, invece, quest’ultima percentuale è del 99%, e del 90% la copertura contro il morbillo. Secondo i dati di Venice del 2012, in Francia sono obbligatori i vaccini contro difterite, tetano e contro la polio. Quello contro il morbillo, invece, insieme agli altri, è solo raccomandato, fatta eccezione per alcune categorie a rischio. Non è, inoltre, previsto un certificato vaccinale per l’iscrizione a scuola. L’unico Paese europeo che lo richiede, come avviene nel Canada e in alcuni stati Usa, è la Germania, dove la percentuale di bambini vaccinati contro difterite, tetano e pertosse – sempre secondo i dati Ocse riferiti al 2014 – è un po’ più bassa della Francia: il 96%. Più alta, invece, dei colleghi transalpini quella contro il morbillo, che arriva al 97%. Gli epidemiologi evidenziano come in Germania le vaccinazioni siano tutte raccomandate. Situazione analoga nel Regno Unito, dove la percentuale di bambini vaccinati contro difterite, tetano e pertosse è del 95% e contro il morbillo del 93%.

Gli esperti europei sottolineano che i dati di Venice e dell’Ocse mostrano che “eccetto le vaccinazioni obbligatorie contro l’influenza per gli operatori sanitari e alcune regioni europee come il Veneto, a prima vista non sembrano esserci straordinarie differenze nella copertura vaccinale tra i Paesi che raccomandano certe vaccinazioni e quelli che, invece, le obbligano per legge”. Si dice “d’accordo con questa affermazione” Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss). L’epidemiologo italiano sottolinea, però, come “in Italia la copertura sia più alta per le quattro vaccinazioni già obbligatorie per legge (difterite, tetano, poliomelite ed epatite B, somministrate nell’esavalente insieme a pertosse ed haemophilus b) prima del decreto del Governo del 19 maggio rispetto a quelle che erano raccomandate, come il morbillo”. “Non risultano prove comparative che la coercizione ottenga risultati migliori di altre misure di informazione credibili – aggiunge una nota della Rete sostenibilità e salute -. Si può promuovere la salute, così come un’offerta vaccinale, con altissima adesione, solo se la cittadinanza sarà informata in modo credibile e adeguato, e sarà attiva e consapevole. Bisogna uscire dalla sfera ideologica e avviare una seria riflessione collettiva basata su prove scientifiche disponibili e senza forzature”.

Ogni Paese sembra, quindi, andare in ordine sparso. La ragione, secondo Rezza, è che nelle scelte “purtroppo, influisce molto il contesto culturale dei singoli Paesi”. Proprio per trovare una maggiore armonizzazione delle diverse strategie vaccinali europee, è stato avviato alcuni anni fa un nuovo progetto del network Venice. Denominato Venice III, è partito nel dicembre 2013 e dovrebbe concludersi nel 2017. Gli epidemiologi del Vecchio continente puntano a migliorare lo scambio di informazioni e il sistema di sorveglianza delle reazioni avverse, attraverso il confronto tra calendari e coperture vaccinali, e valutando l’introduzione di nuovi vaccini e interventi legislativi. Lo scopo è mettere insieme le esperienze dei diversi Paesi, e riuscire magari un giorno a realizzare un unico calendario vaccinale europeo, per “eradicare le malattie prevenibili con le vaccinazioni”.