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Strade e viadotti, per metterli in sicurezza servono 2,5 miliardi l’anno: ne mancano 1,4. E c’è un ventennio da recuperare

Il nuovo piano di investimenti dell'Anas stanzia 1,1 miliardi all'anno. Il responsabile dell’assetto della rete: "Non è ancora sufficiente". Anche perché c'è un enorme arretrato da smaltire: tra 2007 e 2013 si sono spesi solo 200 milioni l'anno. In più Pier Giorgio Malerba, docente al Politecnico, avverte: "La maggior parte dei ponti italiani è vicina alla fine del ciclo di vita in sicurezza"

Nel 2015 toccò al viadotto Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento. Poi al ponte Himera sulla A19 e ancora ai cavalcavia di Annone in provincia di Lecco e a quello di Camerano vicino ad Ancona, venuto giù pochi mesi fa causando la morte di due coniugi. Fino al viadotto La Reale della tangenziale di Fossano, crollato lo scorso 18 aprile e per il quale sono sotto inchiesta 8 persone. “In tutti i casi non è lo stato di manutenzione la prima causa del crollo, anche se in alcuni è la concausa”, ha detto durante l’ultima audizione in commissione Ambiente il presidente di Anas, Gianni Vittorio Armani. Ovviamente pesano anche i vizi in fase di costruzione, gli errori di cantiere e, nel caso di Annone, i ripetuti trasporti eccezionali con carichi molto superiori alla portata della struttura. Ma la manutenzione insufficiente un ruolo lo ha. Soprattutto perché i soldi per farla non bastano: servirebbero 2,5 miliardi l’anno, ma gli ultimi stanziamenti si fermano a 1,1 miliardi l’anno fino al 2019. Questo in un Paese in cui, secondo gli esperti, la maggior parte dei ponti sta per arrivare alla fine del suo ciclo di “vita in sicurezza“.

Fondi su, ma per la rete mancano 1,4 miliardi all’anno
Il 2 maggio lo stesso Armani parlando davanti a un’altra commissione, quella dei Lavori pubblici, ha ammesso che al primo posto tra “le priorità aziendali” dell’ente nazionale strade c’è il recupero del “rilevante gap manutentivo accumulato negli anni”. Ma per gli oltre 26mila chilometri di strade gestite da Anas, sulle quali insistono 11.744 viadotti, servono soldi, tanti. E nonostante il sensibile aumento degli stanziamenti nel 2016 e un piano per il futuro che si preannuncia ancora più corposo, i fondi continuano a non bastare. L’Italia spende assai meno di quanto sarebbe necessario: “C’è ancora una distanza molto elevata tra il fabbisogno e quanto abbiamo a disposizione per la manutenzione straordinaria – spiega a ilfattoquotidiano.it l’ingegnere Fulvio Soccodato, responsabile dell’assetto rete di Anas – Rileviamo un fabbisogno medio di 2,5 miliardi all’anno per la messa in sicurezza e il miglioramento della rete stradale, mentre il nuovo piano degli investimenti ne ha stanziati 1,1 (l’anno, ndr) per il triennio 2017-19“. Cifra “due anni fa inimmaginabile” ma che “non basta per coprire le necessità”.

“Cresca anche il know-how”
Più soldi per la rete stradale vogliono dire, di riflesso, maggiori interventi sui ponti. Ma lo stesso aumento dei fondi, che tra 2007 e 2013 erano rimasti inchiodati a 200 milioni annui, rappresenta una sfida dal punto di vista tecnico. “Maggiori investimenti richiedono l’impegno di Anas ma anche del ‘sistema Paese’, nel senso che bisogna sviluppare progettualità adeguate e snellire le procedure. Deve crescere l’intera filiera – ragiona Soccodato – Ci vogliono imprese preparate, una normativa che ci aiuta e un know-how che va costruito anche nel mondo accademico, visto che le università insegnano a costruire i ponti, non a ripararli”. Oltre agli investimenti, quindi, serve un cambio di prospettiva. Anche perché l’Italia si sta avvicinando a un momento di rottura: buona parte della rete infrastrutturale di valenza nazionale è infatti stata concepita tra gli anni Settanta e Ottanta e il ritardo accumulato nella manutenzione non è smaltibile in breve tempo.

Gap ventennale da recuperare. E si avvicina il “fine ciclo”
Da un lato, Soccodato parla di “gap ventennale che, nonostante il piano pluriennale degli investimenti preveda un recupero dell’arretrato, è impossibile da smaltire in tre anni”, anche se stanno aumentando “gli interventi tesi a individuare con precisione le criticità sulle quali intervenire”. Insomma, si cerca di uscire dalla fase di emergenza e di entrare in quella di prevenzione, a costo di sacrificare i miglioramenti. Un modus operandi che ha permesso lavori straordinari su 600 ponti negli ultimi anni. D’altro canto, però, Pier Giorgio Malerba, docente di Teoria e progetto dei ponti al Politecnico di Milano riassume così la questione: “Tutte le opere hanno un ciclo di vita. Quello dei ponti viene generalmente definito in 100 anni, se soggetti a regolari attività di ispezione e manutenzione. Di fatto, nei maggiori Paesi industrializzati si è rilevato – spiega al Fatto.it – che, a causa dell’esposizione agli agenti atmosferici, dell’aumento dei transiti e di manutenzioni carenti o inefficaci, la vita media in piena sicurezza è di circa 60 anni. Questo non vuol dire che al 61esimo anno il ponte crolla, ma che è meno affidabile. La maggior parte dei ponti italiani è stata costruita negli anni Settanta, quindi sono ora ad un’età critica che induce ad attente ispezioni e alle manutenzioni che si rendessero necessarie”. Mentre i ponti ferroviari e autostradali sono oggetto di ispezioni e manutenzioni dallo standard che Malerba definisce “molto elevato”, il problema maggiore riguarda i ponti ‘sorvegliati’ da Province e Comuni: “Non hanno i soldi, né il personale per queste attività. In molti casi non si dispone neppure di un catalogo aggiornato delle opere – aggiunge il docente – Ancora una volta è un problema di fondi, ma è anche dimostrato che, per ponti di collegamento importanti, la perdita economica dovuta all’interruzione dei transiti di alcuni mesi può superare il costo del ponte stesso”.

Qualità? “Stop al massimo ribasso nelle aste”
C’è chi, anche tra gli stessi costruttori, ha fatto un passo indietro. È il caso di Massimo Ferrarese che con la sua Prefabbricati Pugliesi continua ad operare in altri settori, ma non partecipa più alle gare d’appalto per la costruzione di ponti e viadotti. “Non si può pensare di affidare lavori pubblici con il 40% di ribasso d’asta, perché questo determina un effetto a cascata su tutta la filiera, dall’impresa appaltante ai subappaltatori, fino ai fornitori”, spiega l’imprenditore, che è stato anche presidente della Provincia di Brindisi e attualmente presiede Invimit, società di gestione del risparmio del ministero dell’Economia. “Così ci sono imprese che non svolgono i lavori come dovrebbero. Non si può lesinare sui materiali, io non l’ho mai fatto e non sono disponibile a fare cose del genere, ecco perché non costruisco più ponti con le mie aziende”. Si ritorna così a quei “vizi di costruzione” ed “errori di cantiere” delineati come “principale causa del cedimento” dal presidente di Anas. “Il discorso del massimo ribasso è reale. Il costo va pensato sul ciclo di vita – conferma Malerba – se si spende bene prima, si risparmia dopo per la manutenzione”. L’Italia al momento è stretta tra queste due morse. I suoi ponti attendono. E di tanto in tanto ballano.