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Agenzia del farmaco, il Freedom of information act non vale per le spese del presidente Melazzini

Anche il terzo tentativo di dare un’occhiata ai documenti sulle spese per i viaggi di servizio dell'ex numero uno dell'Aifa è andato a vuoto. Carte e ricevute continuano a rimanere chiuse a chiave in un cassetto dell’Agenzia. Ecco come è andata

Anche il terzo tentativo di dare un’occhiata ai documenti sulle spese per i viaggi di servizio di Mario Melazzini è andato a vuoto. Carte e ricevute continuano a rimanere chiuse a chiave in un cassetto dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, di cui Melazzini è stato presidente per quasi tutto il 2016 ed è attualmente direttore generale. La prima richiesta, ilfattoquotidiano.it l’aveva inviata all’ufficio stampa dell’agenzia lo scorso ottobre. Ma in risposta è arrivato solo silenzio. Poi il tentativo è passato per una classica istanza di accesso agli atti. Niente da fare. Ora a essere respinta è stata un’istanza di accesso generalizzato, presentata da ilfattoquotidiano.it in collaborazione con l’associazione Diritto Di Sapere sulle basi del Freedom of information act (Foia) italiano, ovvero le recenti norme che hanno modificato il decreto trasparenza (decreto legislativo 33 del 2013).

La richiesta di vedere i documenti relativi alle missioni istituzionali di Melazzini non è un vezzo. Ma è l’unico modo per sapere se i 95mila euro pagati con fondi pubblici nei primi sei mesi del 2016 sono una somma eccessiva o giustificabile dalle condizioni di salute di Melazzini, che di certo comportano maggiori costi per gli spostamenti, il vitto e l’alloggio nei viaggi di servizio. Melazzini infatti è da anni su una sedia a rotelle dopo una diagnosi di Sla (sclerosi laterale amiotrofica). Condizioni che in passato sono finite al centro del caso sollevato dal Comitato 16 novembre, un’associazione di malati di Sla e loro familiari, che ha presentato un esposto sollevando il dubbio che Melazzini non sia in realtà affetto da Sla ma da sindrome “diversa”. Esposto archiviato dal giudice per le indagini preliminari di Pavia, che però ha negato l’acquisizione della sua cartella clinica.

Ma torniamo alla risposta dell’Aifa. Picche. Eppure il Foia è stato introdotto “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”. E dà diritto a chiunque di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, a eccezione dei casi in cui è previsto il segreto di Stato, oppure dei casi in cui è messa a rischio la tutela di specifici interessi pubblici, come quelli inerenti alle relazioni internazionali, o specifici interessi privati, come quando si ha a che fare con la protezione dei dati personali. Ma la regola generale del Foia “è la trasparenza – ha sottolineato l’Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone nelle linee guida adottate a dicembre – mentre la riservatezza e il segreto sono eccezioni”. E l’amministrazione – ha fatto presente l’Anac – deve “indicare chiaramente” quale degli interessi pubblici e privati meritevoli di tutela vengono pregiudicati dalla diffusione delle informazioni richieste nell’istanza di accesso generalizzato.

Andiamo allora a vedere le argomentazioni usate dall’Aifa per negare a ilfattoquotidiano.it le pezze giustificative dei 95mila euro spesi in sei mesi, secondo quanto riportato nella sezione trasparenza del sito dell’agenzia con un dato che tra l’altro non viene più aggiornato da mesi. La richiesta di ottenere copia di ricevute e scontrini allegati alle note spese di Melazzini viene giudicata dall’Aifa “irragionevole nella misura in cui costringerebbe l’amministrazione a impiegare oltremodo le proprie risorse personali e strumentali per svolgere un’attività i cui esiti sono già stati debitamente comprovati”, dal momento che gli importi “sono soggetti a verifica di legittimità dell’organo di controllo – il collegio dei revisori dei conti – a ciò deputato per legge”. Nella sua risposta l’agenzia tira addirittura in ballo le “richieste massive”, definite dall’Anac come “tali da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione”. Ma non spiega come mai sia così oneroso e difficile recuperare dal cassetto quel fascicolo in cui sono state raccolte le note spese relative ad appena un anno di attività di Melazzini, il 2016.

L’Aifa si concentra poi sui contenuti dei documenti oggetto dell’istanza: “Tale richiesta di dettaglio appare lesiva di diritti tutelati a livello costituzionale, quali il diritto alla riservatezza e all’identità personale dell’interessato, in quanto si renderebbero noti dati personali afferenti la sfera privata di una determinata persona fisica (nome, indirizzo di residenza, codice fiscale, nonché dati dai quali è possibile desumere lo stile di vita e le preferenze dell’interessato)”. Formulazione che non tiene conto di una cosa: nell’istanza era stato chiesto chiaramente di oscurare eventuali dati ritenuti sensibili. Ed ecco un altro argomento che l’Aifa mette davanti alla trasparenza: “L’ostensione di detti documenti è in grado di ledere la sfera privata dell’individuo sotto il profilo della cosiddetta ‘localizzazione’, intesa come possibilità di determinare gli spostamenti di una persona e individuare i luoghi di maggiore interesse dove la stessa svolge la propria personalità. Anche in questo caso si determinerebbe un’ingiustificata violazione di diritti e libertà fondamentali dell’individuo, anch’esse tutelate a livello costituzionale (si pensi alla libertà di movimento)”. Avete capito? I cittadini che volessero conoscere quanto ha speso Melazzini in qualcuna delle sue trasferte istituzionali non stanno esercitando quelle forme diffuse di controllo sull’utilizzo delle risorse pubbliche cui la legge dà loro diritto. Ma stanno minando la libertà di movimento del direttore generale dell’Aifa.

@gigi_gno