Donne

‘Storie della buonanotte per bambine ribelli’. Un viaggio chiamato donna

Hanno viaggiato verso se stesse, e sono sempre giunte a destinazione. Sono donne che non si arrendono, che si rialzano dopo ogni caduta e proseguono. Sono donne che non hanno atteso il principe azzurro o il marito miliardario, ma hanno capito che la potenza della vita è dentro di esse, dentro di noi. Le loro storie (autentiche) sono state raccolte in un libro (bellissimo) ideato da due donne (strano, vero?) italiane, Elena Favilli e Francesca Cavallo. Il volume si intitola Storie della buonanotte per bambine ribelli.

Il libro è nato grazie al crowdfunding, e ha raggiunto la cifra record, per un progetto editoriale, di oltre un milione di euro. In Italia esce tradotto per Mondadori. E’ un libro per bambini, ma soprattutto per adulti. Perché siamo noi che abbiamo voluto perdere la capacità di credere alla possibilità dell’impossibile. Ne hanno raccolte 100, di queste vicende al femminile. Sono tutte diverse fra loro, ma in comune posseggono la qualità di farci comprendere quanto il coraggio non sia un talento innato, ma una pratica.

Si parla di donne come Wilma Rudolph, che da bambina si ammalò di poliomielite proprio mentre si stava innamorando dello sport. I medici le dissero chiaro e tondo che sarebbe stato difficile tornare a camminare, mentre la madre le disse che ce l’avrebbe fatta. Ogni giorno la accompagnava ad allenarsi, a fare riabilitazione. Wilma alle Olimpiadi del 1960 fece 3 record del mondo. Dichiarò: “I dottori mi dissero che non avrei camminato. Mia madre mi disse che ce l’avrei fatta. Ho creduto a mia madre”.

Si parla di Irena Sendlerowa, una ragazza di Varsavia che allo scoppio della guerra aiutò i bambini ebrei affidandoli a famiglie cristiane e dando loro nomi cristiani. Quelli veri li conservava dentro a dei barattoli della marmellata che seppelliva in un giardino. Alla fine ne salvò 2500. Molti di loro riuscirono a ritrovare i veri genitori grazie a quei foglietti nella marmellata. Le chiesero perché lo avesse fatto, lei rispose che suo padre, quando era bambina, le aveva detto: “Irena, se vedi qualcuno che sta affogando, devi tuffarti per salvarlo, qualunque sia la sua religione o nazionalità”. Leggendo queste storie si ha netta, quasi fisica, la sensazione di toccare il nucleo incandescente del libero arbitrio. “Nessuno può dirmi cosa posso e cosa non posso fare. Quando le cose diventano difficili, tu diventa ancora più forte”, dice Amna Al Haddad, sollevatrice di pesi.

Noi uomini avremmo tanto da imparare. Ad esempio, che non si tratta di superiorità o d’inferiorità, quado si parla di genere, ma di diversità, che è un pregio. Leggendo questo volume pensavo che nelle scienze, quando si discute di “biodiversità”, le si attribuisce, giustamente, un valore straordinario. Qaundo riusciremo a capire che nella vita tutta, la diversità, e soltanto essa, ci aiuterà?

Leggo della vicenda di Ann Makosinski, una bambina canadese del 1997 che per aiutare un’amica che non poteva studiare dopo il tramonto, perché non aveva luce, dopo prove su prove inventò una torcia che si alimenta col calore del corpo umano. Vinse il primo premio della Fiera delle Scienze di Google. Dice che vorrebbe che le sue invenzioni aiutassero gratuitamente chiunque ne abbia bisogno. Penso ad Alfonsina Strada, la ciclista che voleva partecipare al Giro d’Italia ma non glielo permisero, lei non si arrese e continuò a correre, stabilendo un record di velocità insuperato per 26 anni, con una bicicletta di venti chili e una marcia sola. Leggo di Alicia Alonso, ballerina cubana, cieca, che si esibì in una acclamata versione del Lago dei Cigni, e all’Havana fondò il Balleto Nazionale di Cuba.

Leggo di Helen Keller, una bimba che rimase sorda e cieca in seguito a una grave malattia. A scuola incontrò un’insegnante speciale, Anne Sullivan, che con grande fatica e dedizione si convinse di poterle insegnare a leggere e scrivere. Ma come, se Helen non poteva “vedere” ciò cui corrispondeva una parola? Le mise le mani sotto un rubinetto e le sillabò all’orecchio la parola “acqua”. Le pronunciò la parola “bambola” mentre Helen ne accarezzava una fra le mani. Anni dopo la Keller imparò il Braille, e poi studiò il francese, il tedesco, il latino e pure il greco! E cominciò a girare il mondo per tenere conferenze sulle disabilità. Leggo di queste bambine ribelli e penso che ce la faremo. Perché non sono eroine (parola sviante) ma persone come noi. Che hanno deciso di vivere. E di essere il mondo che vogliono abitare.

Il libro ne ricorda 100, ma ce ne sono tante altre. Penso a Samia Yusuf Omar, la sua vicenda è stata raccontata in modo eccellente nel romanzo Non dirmi che hai paura. Penso a Isabella Bird, di cui già parlai su queste pagine. Si potrebbe proseguire per pagine e pagine. Michaela Deprince, ballerina della Sierra Leone, dice: “Non avere mai paura di essere un papavero in un campo di giunchiglie”. E noi, quante bambine ribelli conosciamo?

Io ne ho in mente qualcuna, non sono difficili da distinguere. Hanno le ginocchia sbucciate, i capelli arruffati, le lacrime seccate sulle guance, e il sorriso di una vita che non morirà neppure quando se ne saranno andate.