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Università, non dichiara lo studio privato per tredici anni: deve risarcire cinque milioni di euro ma mantiene il suo posto

Il professor Marco Baldoni insegna odontoiatria alla Bicocca e dirige l’Unità operativa al San Gerardo di Monza. Nel 2001 opta per il regime di esclusiva ma esercita anche privatamente, senza autorizzazione. I pm lo assolvono la Corte dei Conti lo condanna. In attesa dell’appello mantiene cattedra e stipendio. Dirigenti e presidi di facoltà però sapevano, tanto che si facevano curare i denti nel suo studio. Così il caso Baldoni mette in luce la difficoltà del pubblico a tutelarsi quando sotto schiaffo non sono i "furbetti del cartellino" ma quelli che viaggiano due spanne sopra di loro

La stretta sui furbetti del cartellino ci ha appena regalato un clamoroso blitz all’Ospedale di Napoli: 55 arresti tra medici, infermieri e impiegati. Poi capita una storia così, che mette in luce una categoria di furbizie meno nota ma non meno dannosa. Perché questa è l’incredibile storia di Marco Baldoni, autorevole accademico della Università Milano-Bicocca in servizio presso l’AO San Gerardo di Monza che per 13 anni ha indebitamente percepito quasi 7 milioni di euro esercitando privatamente nel suo studio, senza mai comunicarlo all’ospedale e all’università con i quali fin dal 2001 si era impegnato a svolgere attività odontoiatrica e di docenza a tempo pieno in regime di esclusiva. Situazione incompatibile, per legge dal 1999. E se al Tribunale penale Baldoni se l’era cavata con un’archiviazione per le accuse di truffa ai danni dello Stato e abuso d’ufficio, la Corte dei Conti lo ha appena condannato a rifondere 4,7 milioni di euro per le indennità indebitamente ricevute negli anni, per il mancato versamento delle quote della prestazione espletate in regime privato. Insomma danni danni danni. Ma la notizia è anche un’altra: in attesa del ricorso il professor Marco Baldoni mantiene la sua cattedra di ordinario alla Bicocca con uno stipendio da 84.695 euro lordi.

La storia però ha due facce. Vista con le lenti delle amministrazioni danneggiate testimonia l’impotenza del pubblico di fronte a chi provoca un danno certo e ingentissimo. Altrettanto surreale appare però agli occhi di Baldoni che – va precisato – è un professionista stimato, tra i primi in Italia ad utilizzare le staminali per la rigenerazione ossea delle malattie parodentali e nell’ambito del procedimento ha anche dimostrato una certa inclinazione filantropica verso i pazienti. Al telefono risponde, ma è frastornato da quella sentenza che getta una croce su trent’anni di lavoro. E allora bisogna immergersi nelle due visuali per capire la follia che si scatena quando a finire sotto schiaffo non sono i furbetti ma quelli che viaggiano due spanne sopra di loro.

LE ARMI SPUNTATE NEL PUBBLICO
Il rettorato della Bicocca, esploso il caso Baldoni, ha intrapreso le azioni di tutela possibili a leggi vigenti. Il 20 febbraio 2014 scopre dell’indagine dei Nas partita da un esposto anonimo. Quattro giorni dopo attiva un procedimento disciplinare e contestualmente la sospensione in attesa del giudizio penale. Nella stessa data il rettore emette un decreto con il quale sospende cautelativamente il professore dallo stipendio e dalle funzioni didattiche e gli revoca quelle numerose indennità che ha indebitamente ricevuto per anni. Baldoni impugna i provvedimenti e quattro mesi dopo, il 10 giugno 2014, il rettore emette un decreto di revoca della sospensione cautelare dalle funzioni didattiche (mantenendo la revoca dagli incarichi) sul presupposto che – nelle more del procedimento penale – tale attività non avrebbe procurato un pregiudizio all’università. Poi il colpo di scena: il 28 maggio 2015 arriva la notifica dell’archiviazione penale da parte del tribunale di Monza. L’Università tenta ancora di cautelarsi perché il caso è oggetto di giudizio alla Corte dei Conti. Il 3 luglio riapre il procedimento disciplinare e il 17 settembre 2015 il cda delibera la sanzione da applicargli che il rettore firma con decreto il 25 settembre: sospensione dello stipendio e delle funzioni per sei mesi, scomputando quelli che aveva fatto prima, con la sospensione cautelare dal febbraio 2014 a luglio 2014. Alla fine dei conti Baldoni si è fatto due mesi di sospensione di stipendio e funzioni e la vicenda dal punto di vista disciplinare si è chiusa così, in attesa che vengano restituite a Baldoni anche le funzioni assistenziali (e relative indennità) per operare e dunque completare con la pratica la parte teorica del suo corso.

LA TOLLERANZA DEI VERTICI 
C’è un contrappunto alla storia che ruota attorno a una domanda: possibile che per oltre dieci anni nessuno si sia accorto del doppio lavoro dell’odontoiatra? E’ un punto delicato perché chiama in causa la dirigenza dell’ospedale e dell’università i loro compiti di vigilanza. La difesa di Baldoni lo ha calcato già in sede penale contestando l’accusa di frode per mancanza dell’elemento piscologico dell’illecito, vista soprattutto la “pluriennale tolleranza dei vertici dell’Azienda San Gerardo e dell’Università Bicocca, mai intervenuti a fronte di una piena conoscenza dell’attività svolta privatamente”. In altre parole dall’indagine emerge che Baldoni esercitava alla luce del sole senza gli “artifici e raggiri” che sono il presupposto stesso del reato di truffa. Tanto, sostiene la difesa, che era in piedi anche una convenzione tra lo studio privato del prof Baldoni e l’associazione dei dipendenti dell’azienda ospedaliera; tanto, sostiene ancora, che presso lo studio privato si facevano curare i denti anche alcuni dirigenti, compresi presidi di facoltà. Tanto, conclude, che tutta l’indagine altro non sarebbe se non una manovra ordita per estromettere l’odontoiatra dall’attività del San Gerardo per affidarla a una società della Canegrati, ovvero l’artefice dello scandalo della sanità lombarda del 2016 (tuttora a processo). E in effetti, constata il Pm nella richiesta di archiviazione, i vertici dell’Ospedale confermeranno “l’intenzione di aderire alla gara indetta dall’Icp di Milano, già aggiudicata a una società riconducibile alla Canegrati nel dicembre 2014”. Così si torna all’origine stessa della vicenda, con il giudice che ammette la possibilità che a muoverla in realtà sia stato un conflitto tra il Baldoni, poco incline alla dirigenza, e l’Ospedale, concludendo che l’accusa di truffa a carico del primo “non sia sostenibile in giudizio”.

LE DOMANDE SENZA RISPOSTA
Che sia andata così oppure no conta poco per la Corte dei Conti, così come il fatto che vigesse una sorta di silenzio-assenso sulla doppia attività del medico da parte di direttori generali e rettori: nel giudizio contabile-amministrativo contano solo le autorizzazioni scritte (che non ci sono). E tuttavia – e qui si accende il campanello – lo fa nella quantificazione del danno imputabile, accordando a Baldoni l’attenuante di uno sconto del 15% sull’addebito iniziale che era di oltre 7 milioni. La sentenza su Baldoni lascia dunque aperte alcune domande: chi paga i danni patiti agli enti che non saranno risarciti dal medico per il riconosciuto “contributo concausale” dei suoi dirigenti? Saranno mai chiamati a risponderne visto che sapevano della doppia attività del Baldoni, tanto da servirsene per curare i propri denti, senza mai curarsi della carie che danneggiava il proprio ente? E Baldoni, poi, è l’unico ad operare in quel modo o il solo ad andarci di mezzo? E’ un furfante incallito o solo un medico un po’ sprovveduto assurto suo malgrado a capro espiatorio dell’intera categoria dei “furboni del cartellino”? E ora, chi si prende la briga ora di controllarli tutti?