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Scandalo Siemens, il processo in Grecia non parte tra atti non tradotti e giudici indisponibili

Nuova battuta d'arresto per il procedimento che dovrebbe far luce sull'ipotesi che il colosso tedesco abbia versato centinaia di milioni di mazzette ai politici ellenici per oliare gli appalti nella difesa e nelle telecomunicazioni

Atti non tradotti, scioperi ad oltranza e ora un giudice che non “se la sente” di partecipare al più importante processo dalla fine del regime dei colonnelli ad oggi in Grecia. Il processo per il caso Siemens, il colosso tedesco che avrebbe pagato tangenti milionarie ai politici ellenici, dopo 10 anni di indagini è stato di nuovo rinviato, perché un giudice ha chiesto di essere sostituito. Il precedente rinvio era del luglio scorso, perché il verbale dell’accusa non era stato tradotto correttamente in francese e tedesco, le lingue native di 13 dei 64 imputati, che hanno generato polemiche e risentimenti tra la popolazione già zavorrata dalla crisi. Poi per il secondo semestre del 2016 era stato bloccato a causa dello sciopero degli avvocati.

Insomma, di andare a giudizio proprio non interessava a nessuno nonostante le rivelazioni dell’ex direttore generale della Difesa ellenica, Antonis Kantàs non lasciassero dubbi di sorta. Parlò davanti ai pm di tangenti per armi e carri armati consegnate in alcuni borsoni sportivi, talmente tanti che alla fine aveva smarrito il conto finale. In ballo 170 carri armati Leopard 2A6 Hel dalla tedesca Krauss-Maffei Wegmann (KMW), per i quali Kantà avrebbe ricevuto un totale di 1,7 milioni di euro da un intermediario greco. Oltre a 1,5 milioni per la fornitura di missili Stinger e 600mila euro per i caccia F-15. Al momento in carcere è rimasto solo l’ex ministro socialista e plenipotenziario di Papandreou senior, Akis Tzogatzopoulos, mentre altre figure di spicco sono morte: è il caso dell’ex ministro Leonidas Tzanis, trovato in casa impiccato nell’ottobre del 2012 a Volos e del mercante d’armi internazionale Vlassis Karambouloglu trovato morto a Jakarta in una stanza d’albergo. Entrambi legatissimi a Tzogatzopulos.

Telecomunicazioni e difesa sono i due i filoni che compongono l’inchiesta Siemens, sulle ipotetiche tangenti versate dalla multinazionale in giro per il mondo, secondo le ipotesi pari a ben 1,3 miliardi di euro nel periodo 1999-2005 per ottenere vari contratti. Di tale somma, almeno 130 milioni sarebbero stati distribuiti tra i politici e gli alti funzionari in Grecia. Dal 1990 Siemens è stato il fornitore quasi esclusivo di prodotti high-tech per lo Stato e per le imprese pubbliche in Grecia. I contratti più significativi riguardavano la fornitura di tecnologia digitale per le telecomunicazioni pubbliche dell’azienda OTE, il sistema di sicurezza per le Olimpiadi di Atene e il sistema di telecomunicazioni delle Forze Armate elleniche.

I 64 imputati sono accusati di tangenti e riciclaggio di denaro, e per alcuni di loro potrebbe profilarsi l’ergastolo. Uno dei più influenti funzionari di Siemens in Grecia in quel periodo, Michalis Xristoforakos, fuggì in Germania nel 2007 dove chiese di essere lì giudicato. Secondo fonti giornalistiche sarebbe stato molto vicino alla famiglia dell’attuale leader conservatore di Nuova Democrazia, Kyriakos Mitsotakis, il cui partito è primo nei sondaggi a dieci punti da Syriza. Tra l’altro durante le indagini, l’ex braccio destro dell’ex primo ministro Kostas Simitis, Zeódoros Tsukatos, ammise di aver ricevuto tangenti per mezzo milione di marchi tedeschi (250.000 euro) nel 1999. Anche l’allora ministro dei Trasporti, Tasos Mandelis, ammise nel 1998, di aver ricevuto un “dono” di 200.000 marchi tedeschi da parte di Siemens. Lo scandalo è stato anche intrecciato in Grecia con la Lista Lagarde degli illustri evasori, in cui figurano nomi legati a quegli appalti.

@FDepalo