Società

Sud, smettiamo di essere un serbatoio di voti

In occasione delle prossime elezioni amministrative, la gente del Sud sarà chiamata a riconoscere, con grande attenzione, i blocchi sociali retrostanti alle proposte politiche. Ci sono delle città in cui una borghesia arraffona degna della più autentica reminiscenza salveminiana tiene sotto scacco ogni reale cambiamento o evoluzione, da anni. Le elezioni amministrative sono una preziosa occasione per riconoscere il vero progetto appostato dietro il sipario.

Perché in paese, o in città, tutto più o meno, si sa: si sa chi tu sia, cosa faccia per il bene comune e, presumibilmente, dove ti sospingano la tua ambizione e il tuo status. E non si illudano i precari, i sottoccupati, i pensionati minimi, i cassaintegrati, di avere qualche pur minimo beneficio dal rampollo di ricca famiglia che non conosce neanche lontanamente la sensazione dell’emarginazione sociale o il disagio di stentare a pagare la retta di un asilo.

O dall’intellettuale da salotto, pettinato come un barboncino. Non si illudano, i meridionali, di avere qualche sostegno da parte di chi ha giocato fino a ieri al ribasso su infrastrutture e fondi di perequazione, con dirottamenti degni dei peggiori affamatori.  Se non si allena l’occhio a riconoscere i lupi, il Sud non cambierà mai. Vano ogni sforzo, vana ogni pretesa intellettuale. E quando sorgerà impellente la vera esigenza di cambiamento, senza troppe riflessioni, la soluzione più a portata di mano sarà quella luccicante dei populismi: il solito pacco, insomma. Men che mai necessari i cambi dei nomi delle strade per cancellare il ricordo dell’unità: operazione utile come un maquillage in articulo mortis. La retrodatazione delle precise responsabilità sul Sud è una delle caleidoscopiche declinazioni della solita “strategia della distrazione”: guarda qua, guarda là. Intanto, ti mettono le mani in tasca. Il nuovo “ascarismo”, più o meno consapevolmente, ha i tratti di un rabbioso leghismo a scoppio ritardato.

Se la crisi al Sud ha picchiato tanto forte lo si deve a precise scelte economiche e politiche, mascherate dall’ipocrisia dei politicanti che, crollato il Mezzogiorno come mercato di sbocco, hanno pensato bene di adoperarlo come mero serbatoio di voti. Ultimamente, anche le scadenze elettorali si fanno più rade, per il fondato timore che il malcontento faccia del Sud un blocco sociale eterogeneo, ma politicamente rilevante. Proprio come avvenuto nello scorso referendum.

I temi che si dovrebbero dibattere, per il Sud e per tutto il Paese, sono quelli evidenziati da Adriano Giannola in un testo molto recente: Sud d’Italia. Una risorsa per la ripresa. Si tratta, ad esempio, di logistica, energia, infrastrutture. Sono le grandi sfide a cui siamo chiamati per cambiare il volto del Paese e tornare a fare del Mezzogiorno un attivo comprimario, come negli anni Sessanta. Il resto è maquillage, per continuare a distrarre il malato.