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Sicilia, dal Pd a Forza Italia: a Palermo nessuno vuole più i simboli di partito Orlando: “Facciano un passo indietro”

A tre mesi dalle amministrative nel capoluogo siciliano i loghi della politica nazionale rischiano di essere banditi. "Piero Fassino a Torino ha perso non perché ha amministrato male, ma perché è diventato emblema dei partiti", ripete il primo cittadino consapevole di avere solo un ostacolo che lo separa dalla quinta rielezione: il M5s. Per questo ha dato l'aut aut: "Nessuna lista deve essere riconducibile a una formula di governo regionale o nazionale". E anche Ferrandelli chiede ai berlusconiani di rinunciare ai propri colori

Svaniranno dai muri pronti ad ospitare migliaia di manifesti elettorali, scompariranno dalle bandiere sventolate durante le convention, dalle spillette e dai cappellini distribuiti agli eventi di questo o quel candidato. Ma soprattutto saranno introvabili sull’elemento fondamentale di ogni elezione: le schede elettorali. A più di tre mesi dalle amministrative della prossima primavera, Palermo si sveglia con un’inedita antipatia: quella per i partiti. Una fase nuova nell’epoca della post ideologia, che forse non a caso va in onda in quello che è da sempre considerato il laboratorio politico del Paese. Non si tratta di una nuova Mani pulite a trazione meridionale, simile a quella che portò lo storico pentapartito a liquefarsi sotto i colpi delle inchieste giudiziarie della procura di Milano. Non è neanche – o almeno non ancora – una nuova primavera siciliana che punta a sostituire con volti nuovi le facce incrostate di politici di lungo corso, cambiacasacca acchiappavoti e locali reggipanza di big nazionali: quelli, anzi, sono pronti a tornare in corsa per l’ennesima volta non appena ci sarà da chiudere le liste per il consiglio comunale.

La scomparsa dei simboli  di partito – A rischiare di sparire nel capoluogo di Sicilia sono invece i partiti intesi come simboli. Niente più tricolori con l’emblema di Forza Italia, un tempo proiettati persino sulle facciate del teatro Massimo, quando la Sicilia regalava a Silvio Berlusconi 61 seggi parlamentari su 61 e a Palermo era stato installato un sindaco, Diego Cammarata, votato a furor di popolo nonostante fosse sconosciuto ai più. Stop anche ai rassicuranti ramoscelli d’ulivo piazzati alla base del simbolo del Partito democratico, ormai diffuso ovunque dopo le visite settimanali di Matteo Renzi in tempi di referendum costituzionale. Basta anche con lo scudo crociato dell’Udc, il partito di Totò Cuffaro, che prima ancora faceva da scenografia alle tentacolari campagne elettorali di Salvo Lima e Vito Ciancimino. Insomma, a Palermo loghi ed emblemi della politica nazionale rischiano di essere banditi. Questo è almeno l’auspicio del candidato già oggi baciato dai favori del pronostico, quel Leoluca Orlando che a maggio punta a vincere le amministrative per la quinta volta. Della prima esistono solo diapositive in bianco e nero: era il 1985 e un trentenne Orlando era riuscito a farsi eleggere sindaco del rinnovamento da una già moribonda Dc.

L’eterno Leoluca Orlando ora è apolide – Trentadue anni dopo il professore è ancora lì: ha superato indenne tre stagioni politiche, ha fatto il deputato, il leader nazionale dell’Italia dei Valori, l’oppositore alla berlusconizzazione dell’isola e adesso si ricandida sindaco da vero e proprio apolide. L’Idv, il partito che lo ha eletto primo cittadino per la quarta volta nel 2012, si è dissolto insieme al suo leader, Antonio Di Pietro. Il Movimento 139, la sigla lanciata da Orlando per provare a far rivivere la Rete degli anni ’90, è svanito dai radar, superato e schiacciato dal successo del Movimento 5 Stelle, che non a caso è l’unica forza politica sicura di presentarsi con il suo simbolo. Il logo di Orlando, invece, è Orlando stesso: apolide e senza partito, il primo cittadino è ancora installato saldamente sulla poltrona più alta di palazzo delle Aquile,e ha tutte le probabilità di essere rieletto senza passare dal ballottaggio. La nuova legge elettorale siciliana, infatti, ha abbassato al 40% la soglia di vittoria al primo turno. È per questo motivo che attorno alla ricandidatura del primo cittadino si stanno via via radunando tutti i vari esponenti di centro e sinistra. E dopo settimane di discussioni interne persino il Pd ha sciolto la riserva: in attesa di tempi migliori, intende puntare sull’usato sicuro e appoggiare il professore. Intenzione sulla quale convergerebbe anche il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, mentre Sicilia Futura, la lista fai da te dell’ex ministro Salvatore Cardinale, ha già chiuso l’accordo con Orlando. Il quale, però, è una vecchia – anzi vecchissima  – volpe, in grado di capire con largo anticipo che tipo di direzione prenderà il vento. E il vento oggi a Palermo non soffia certo verso i partiti classici, come il Pd. Soprattutto dopo la sonora sconfitta del referendum.

“Fassino ha perso perché simbolo dei partiti” Il primo cittadino siciliano, poi, ha un chiodo fisso. “Piero Fassino a Torino ha perso non perché ha amministrato male, ma perché è diventato simbolo dei partiti“, diceva ai suoi Orlando l’altra sera a cena. Un episodio – quello della sconfitta dell’ex primo cittadino sabaudo – che il sindaco ripete spesso, quasi fosse il suo incubo, il pericolo più concreto all’orizzonte. Con il centrodestra in frantumi, il fondatore della Rete ha evidentemente capito che tra lui e la quinta rielezione esiste solo un ostacolo, e cioè quel Movimento 5 stelle a lui così simile da candidare sindaco un esponente della società civile con una solida esperienza nei ranghi dell’antimafia: Ugo Forello, fondatore dell’associazione antiracket Addiopizzo e rassicurante volto nuovo dei grillini in città. Con un candidato così, siamo sicuri che i palermitani al ballottaggio voterebbero per il vecchio sindaco, peraltro appoggiato dal Pd, dal Ncd e da tutta una serie di partiti e partitini percepiti come l’ancient régime? O forse Orlando rischia davvero di fare la fine già toccata a Fassino sette mesi fa? Sono da leggersi in questo senso le aperture del primo cittadino che ha lanciato un messaggio ai grillini presentandosi come “la prova concreta che si può essere antisistema e di governo“. Dichiarazioni bollate come “una barzelletta” dal candidato M5s Forello ed è per questo che Orlando ha dato l‘aut aut: “I partiti che vogliono appoggiare la mia candidatura facciano un passo indietro. Non avremo listoni né simboli di partito. Il mio partito è Palermo. Avremo tante liste civiche fatte da coloro che vorranno un governo di questa città. Anzi voglio ringraziare tutti i partiti che vorranno fare un passo indietro accettando una dimensione civica di questa città”, ha detto dopo che nei giorni scorsi ha incontrato i vertici del Pd.

No ai listoni: il patto per le regionali – Un summit romano con il vicesegretario dem Lorenzo Guerini,  il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e il sottosegretario alla Salute Davide Faraone, vicerè di Renzi in Sicilia, alla fine del quale dal Nazareno è arrivato il via libera: ok all’appoggio a Orlando con il simbolo del Pd riposto nei cassetti. I dem, per la verità, vorrebbero un listone civico, che rappresenti quella che definiscono”la santa alleanza per salvare la Sicilia dai grillini”. A ottobre, infatti, sull’isola si vota per le regionali e il Movimento 5 Stelle sembra saldamente lanciato verso la vittoria. In questo senso i dem stanno provando a fare un accordo: appoggiano Orlando accettando di “nascondere” il loro simbolo, ma in cambio si aspettano un sostegno del primo cittadino palermitano in vista dell’appuntamento elettorale dell’autunno prossimo. Condizioni che Orlando recepisce a metà, visto che le sue notti sono evidentemente popolate dallo spettro dell’ex sindaco di Torino battuto da Chiara Appendino. “Nessuna lista deve essere riconducibile a una formula di governo regionale o nazionale, io devo pensare a Palermo e non a Palazzo d’Orleans. Il listone non deve indicare una coalizione ma deve essere un’espressione di candidature perché queste sono le elezioni di Palermo. Attendo di sapere chi ci sta o no”, dice il professore, lanciando il suo ultimatum ai dem. I quali sono quasi costretti ad accettare: tre mesi per trovare un candidato sindaco a Palermo sono pochi, in più al Nazareno sanno già che il duopolio elettorale Orlando – M5s è praticamente impossibile da scalfire. Le carte in tavola potrebbero cambiare solo in caso di scioglimento delle Camere ed eventuale election day di primavera: in quel caso il Pd avrebbe tutto l’interesse a lasciare il suo simbolo ben in vista sia alle politiche che alle comunali. Ipotesi quest’ultima che al momento appare di difficile concretizzazione. Soprattutto dopo il via libera definitivo arrivato proprio da Guerini. “A noi non interessano le polemiche e le alchimie politiche. Badiamo al sodo. Siamo impegnati a sviluppare e dare ancora maggior forza al percorso che Palermo ha intrapreso in questi anni e che è stato il frutto sia dell’impegno positivo del sindaco Orlando che di una feconda collaborazione tra l’amministrazione comunale e il governo nazionale”, ha detto il vicesegretario del Pd. Alla fine quindi è molto probabile che il principale partito di governo – sia nazionale che siciliano – sia costretto a “nascondersi” dalle schede elettorali palermitane per non inficiarne l’esito.

Forza Italia appoggia l’ex Pd che non vuole il tricolore – Una sorte che potrebbe toccare in dote anche al centrodestra. Sì perché anche Forza Italia rischia di dover rinunciare al suo emblema. Già alle amministrative del 2015, sull’isola il tricolore di Arcore era praticamente svanito dalle schede elettorali. Per provare a rilanciare il partito, dunque, Berlusconi lo ha affidato allo stesso uomo che fu artefice di un ventennio di successi. Il nuovo commissario di Forza Italia sull’isola, infatti, è l’ex ministro Gianfranco Micciché, sfidante sconfitto di Orlando nel 1997, poi uomo simbolo del 61 a 0 e quindi per un lustro leader di Grande Sud, un partito autonomista autoprodotto. Aver recuperato il loro viceré, però, non ha portato bene ai berlusconiani che infatti a tre mesi dalle elezioni sono ancora senza un candidato sindaco di Palermo. Lo stesso Micciché, per la verità, aveva avuto un’idea a suo modo originale: appoggiare la candidatura di Fabrizio Ferrandelli, ex delfino di Orlando, poi sconfitto dallo stesso primo cittadino alle amministrative di cinque anni fa, quando aveva vinto le primarie del centrosinistra.  “Avendo già da tempo valutato l’ipotesi di un ampliamento della coalizione dei moderati, sono disposto a prendere in considerazione l’appoggio alla candidatura di Ferrandelli“, aveva detto il forzista due settimane fa, negli stessi giorni in cui l’ex deputato del Pd è finito indagato in un’inchiesta per voto di scambio politico mafioso.

L’orgoglio di Micciché, il viceré di B. ancora in pista – Poteva il giovane ex sostenitore di Rita Borsellino, già candidato dei Verdi e di Idv, poi deputato “pentito” del Pd accettare un simile appoggio? Eccome se poteva, anzi lo ha fatto. “La politica si compone di alleanze. Io questa competizione elettorale la voglio vincere. Non sono qui per partecipare. Tutti sono invitati al dialogo. Sono il candidato di tutti. Se mi fossi voluto schierare solo da una parte, mi sarei messo dietro un simbolo“, ha detto Ferrandelli in strettissimo politichese. Il giovane globetrotter dell’arco costituzionale, però, almeno su un punto è stato netto: la chiusura totale nei confronti dei simboli.  “Con me non ci sarà nessun simbolo di Forza Italia, né altri”, ha sottolineato, dimostrando di avere ancora qualche tratto in comune con il suo ex mentore Orlando. Micciché, però, al tricolore di Forza Italia sembra esserci affezionato. “Ho espresso da tempo una simpatia nei confronti di Ferrandelli, ma il simbolo non si discute. Noi siamo Forza Italia e lo rivendichiamo con orgoglio”. Contento lui.

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