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La casta delle federazioni sportive/2: ecco come i presidenti ‘per sempre’ sfruttano i vuoti di legge per condizionare le elezioni

Il sistema impedisce il rinnovamento a monte, con dei regolamenti elettorali molto chiusi e poco rappresentativi, che lasciano il potere in mano ad una cerchia ristretta di dirigenti. E quando la svolta sembra dietro l’angolo, basta contare i voti nella maniera più conveniente (decide la Federazione, ovvio) per ottenere la riconferma. Lo dimostrano due delle rielezioni più recenti e combattute: Luciano Buonfiglio nella canoa, Renato di Rocco nel ciclismo

Schede non conteggiate, regolamenti dubbi, pullman di delegati portati alle urne come in gita turistica. E i vecchi presidenti restano tutti al loro posto (leggi la prima puntata dell’inchiesta). Ormai ne mancano pochi all’appello: Romolo Rizzoli nelle bocce, presidente da 24 anni tra accuse di parentopoli e mala gestione; Francesco Purromuto nella pallamano, a caccia del sesto mandato; Carlo Magri, n. 1 della pallavolo italiana dal ’95, che dopo due decenni aveva scelto di passare la mano ma poi ha cambiato idea e si è ricandidato contro i suoi stessi consiglieri. Magari anche Carlo Tavecchio, a 74 anni quasi un pivellino rispetto a certi suoi colleghi, che rappresenta però senza dubbio la conservazione dello status quo nel calcio italiano. Poi la restaurazione nello sport made in Italy sarà completa. Il sistema impedisce il rinnovamento a monte, con dei regolamenti elettorali molto chiusi e poco rappresentativi, che lasciano il potere in mano ad una cerchia ristretta di dirigenti. E quando la svolta sembra dietro l’angolo, basta contare i voti nella maniera più conveniente (decide la Federazione, ovvio) per ottenere la riconferma. Lo dimostrano due delle rielezioni più recenti e combattute: Luciano Buonfiglio nella canoa, Renato di Rocco nel ciclismo.

BUONFIGLIO E DI ROCCO: RICONFERMA A QUORUM “VARIABILE” – In attesa che arrivi il tanto sospirato disegno di legge sul limite di mandati, una norma per evitare le dittature federali ci sarebbe anche: dal 2004 per essere riconfermati dal terzo mandato in poi i presidenti in carica devono superare il 55% dei consensi. Una soglia che dovrebbe ridurre i casi di “dinosauri”. Ma, come si dice, trovata la legge trovato l’inganno: basta non conteggiare le schede nulle per abbassare magicamente il quorum. È successo in due discipline diverse: canoa e ciclismo, che hanno visto la riconferma rispettivamente di Luciano Buonfiglio e Renato Di Rocco (battuti l’ex olimpionico Antonio Rossi e Norma Gimondi, figlia del grande Felice), col 57,04% e il 58% dei voti. Entrambi, però, non sarebbero stati rieletti se nel calcolo del quorum fossero state comprese le schede nulle. I comitati elettorali (con il benestare degli organi federali) le hanno escluse, infilandosi in un buco della Legge Melandri che parla genericamente di “voti validamente espressi”.

In realtà le bianche e le nulle potrebbero essere benissimo considerate tali, nel momento in cui la scheda viene ritirata al seggio ed inserita nell’urna: in politica, ad esempio, nei referendum abrogativi concorrono al raggiungimento del quorum del 50%+1 (che viene calcolato sul ritiro della scheda, non sul loro contenuto). Nello sport, invece, ognuno fa come vuole: in alcune discipline, dove non erano determinanti (come la scherma), sono state conteggiate sia le bianche che le nulle; nel ciclismo le bianche sì (ma era solo una) e le nulle no; nella canoa nessuna delle due. Così Buonfiglio (che è ance vicepresidente del Coni) e Di Rocco sono rimasti in sella e si fanno vedere in prima fila a Palazzo H al fianco di Giovanni Malagò, con buona pace della base che chiedeva rinnovamento. La Gimondi ha alzato bandiera bianca, Rossi ha presentato ricorso al Collegio di Garanzia: “Lo faccio per principio: se il Coni avesse dato un’indicazione chiara, tutto questo non sarebbe successo. Adesso il problema rischia di riproporsi fra quattro anni”, spiega a ilfattoquotidiano.it. “Malagò ha detto più volte di voler cambiare le regole. Ma fino ad ora non ha fatto nulla, e anche lui adesso verrà rieletto da questi dirigenti”. Comunque vada, la vicenda finirà al Tar.

BOCCE, GINNASTICA, JUDO: TANTI DELEGATI, POCA RAPPRESENTANZA – Sono proprio i regolamenti elettorali a garantire poca trasparenza e ancor meno legalità. Gli organi territoriali continuano ad essere rinnovati dopo quelli centrali, e questo dà un vantaggio enorme alla maggioranza in carica. Inoltre le Federazioni maggiori (quelle con più di 2mila società) votano attraverso i grandi elettori, “più controllabili”. Non a caso la Federazione Bocce ha provato ad andare alle urne con questo meccanismo pur non avendone i numeri: a pochi mesi dal voto, però, si è scoperto che le bocciofile affiliate erano solo 1.400, e così un commissariamento ad acta ha stabilito di votare con un’elezione di primo grado. Saranno le società a scegliere tra Romolo Rizzoli, presidente da 24 anni nonostante accuse di parentopoli, e Marco Giunio De Santis, attuale segretario generale del Comitato paralimpico.

Non necessariamente, però, l’elezione diretta è sinonimo di rappresentanza. Lo statuto del Coni (contrariamente a quanto previsto dal Comitato internazionale) ammette le deleghe: per le piccole società votare è una seccatura (oltre che un costo), molti preferiscono affidare la propria preferenza ad altri “capi-bastone” (è possibile accumulare fino ad un massimo di 15 deleghe a testa). Così nella ginnastica su 1.000 aventi diritto appena 200 associazioni erano presenti. Nella canoa più del 30% dei voti sono stati espressi per conto terzi. Ma sono solo esempi di un sistema comune più o meno a tutte le Federazioni. Tra queste anche la Fijlkam (judo, lotta e karate), dove delle 3mila affiliate solo 1.300 avevano i requisiti per votare: il presidente è stato scelto da meno della metà del movimento, percentuale ulteriormente abbassata dal meccanismo dei “voti plurimi” per cui la stessa società che opera in più discipline può esprimersi più volte. La Federazione ha promesso di cambiare il regolamento di un sistema troppo chiuso. In futuro. Intanto nelle elezioni degli ultimi 30 anni non c’è mai stato neanche un candidato alternativo al presidente uscente: lo storico n. 1, Matteo Pellicone, scomparso nel 2013 dopo 33 anni di comando, ha lasciato le redini al suo segretario Domenico Falcone. Come nelle migliori dinastie.

Twitter: @lVendemiale