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Gambia, addio al dittatore. Il valore internazionale della svolta del Paese

C’è ancora gente che festeggia? E’ mezzanotte ora locale a Banjul mentre dall’Italia dialogo via Facebook col mio interlocutore, un docente amico di rifugiati gambiani in Italia. “Sì, i festeggiamenti sono aumentati dopo che si sono diffuse le immagini di Jammeh che sale sull’aereo che lo porta in esilio in Guinea. C’è gente che suona, che canta.”

Cosa cantano? “The mad man is gone, il pazzo se ne è andato. Gambia is nice“. La vicenda del piccolo Gambia, i giorni carichi di suspense del trapasso dei poteri tra il padre-padrone Yaya Jammeh (dopo 22 anni di potere) e il neo eletto Adama Barrow che ha vinto a sorpresa le elezioni di dicembre, la missione militare e diplomatica di Ecowas, l’Unione degli Stati dell’Africa Occidentale: tutto ciò è stato seguito intensamente non solo dai gambiani ma dall’opinione pubblica dell’Africa nera, e da gente in tutto il mondo.

E’ stata la notizia internazionale “trend” in contemporanea all’inaugurazione di Trump. In Italia negli ultimi tre anni sono arrivati dalla rotta libica migliaia di gambiani, fino a  farne una componente rilevante tra i rifugiati.  E’ un piccolo Paese, di neanche due milioni di abitanti, non lo avevamo praticamente sentito nominare, ora siamo in tanti in Italia a conoscere “The Gambia“, spicchio anglofono nel Senegal (al Balun Mundial, torneo di calcio a Torino tra le “nazionali”, il Gambia è andato in finale).

Qualche nostro Tribunale ha riconosciuto il regime di Janneh come motivo sufficiente per dare asilo o protezione umanitaria a chi ne fuggiva, qualcun’altro no. Ma in questi giorni il tema, per tutti  i gambiani che sono qui, non era quello del soggiorno in Italia, ma dell’ansia, della tensione, della speranza legate al cambiamento, al trapasso dei poteri.

Jammeh rifiutava di riconoscere il risultato, si temeva una guerra civile, o comunque un coprifuoco con episodi sanguinosi. Era stato proclamato lo stato d’emergenza, con migliaia di persone che per prudenza si spostavano in Senegal. Compreso il presidente eletto, Barrow, che la cerimonia di insediamento l’ha fatta all’ambasciata gambiana a Dakar. E invece il movimento sociale civile, un movimento molto prudente sul piano fisico, niente occupazioni, niente forzature di piazza, ma molto esteso e profondo nella sua convinzione, Gambia Has Decided, ha conquistato l’appoggio internazionale.

Uno dopo l’altro i governanti dell’Africa Occidentale hanno deciso di prendere l’iniziativa e di appoggiare  Barrow. Hanno messo insieme una missione militare come quelle che altre volte sono intervenute dopo rivolte o colpi di stato. Questa volta preventivamente, con l’avallo delle Nazioni Unite. Ma la linea seguita è stata quella di evitare il più possibile il conflitto.

Jammeh è stato progressivamente isolato. Spero e credo che qualcuno dei giornalisti che ha seguito sul campo queste giornate in cui mezzo mondo, dai capi di Stato stranieri, ai suoi stessi ministri e generali, ha cercato di convincere Jammeh a mollare, saprà fare un racconto d’insieme, con tutti gli aspetti tragicomici del caso. I presidenti di Mauritania e Guinea che andavano e venivano, gli parlavano per ore, andavano anche in moschea a pregare con lui. Alla fine lo hanno convinto promettendogli immunità e intanto partenza con tappeto rosso e banda militare.

Enorme, nel suo solito abito tradizionale bianco, ha detto alla Tv che abbandonava il potere per senso di responsabilità e fiducia nel dialogo. Nella diaspora gambiana all’estero, e nell’opinione pubblica informata di Banjul, molti protestano per la dichiarazione dei capi di stato che si impegnano a garantirgli tutte le proprietà e i diritti, compreso quello di tornare. Lo volevano in galera, non in esilio. Ma credo che se ne sarà capace e lo vorrà la magistratura del Gambia potrà indagare sui suoi crimini. Intanto c’è chi scrive che la partenza di Jammeh senza che un solo colpo sia stato sparato è la prima buona notizia nel mondo in questo 2017. Fa pensare che democrazia libertà dialogo non violenza possano prevalere anche nel continente più povero.

(Mentre guardavo  dal treno le notizie su  Twitter ho scoperto che il mio vicino era del Gambia, senza internet nel cellulare, ed è stato molto sorpreso e contento di sapere che non ci sono stati neanche feriti).