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Nozze Banco-Bpm, Procura Milano apre un fascicolo d’indagine per aggiotaggio

L’indagine prenderebbe le mosse da un esposto presentato da alcuni soci. Il reato ipotizzato si sarebbe concretizzato con la mancata informativa al mercato dei rilievi mossi dalla Bce sulle sofferenze in capo al Banco Popolare e al loro grado di copertura

Una fusione partita male e che rischia di finire peggio quella tra Banco Popolare e Bpm. La procura di Milano ha infatti aperto un fascicolo, per ora a carico di ignoti, per aggiotaggio e il nucleo di polizia tributaria delle Fiamme gialle ha notificato la richiesta di esibizione di documenti utili alle indagini nelle sedi di verona e Milano delle due banche. A quanto si apprende, l’indagine della procura prenderebbe le mosse da un esposto presentato da alcuni soci. L’ipotesi di reato, come detto, è quella dell’aggiotaggio che si sarebbe concretizzato con la mancata informativa al mercato dei rilievi mossi dalla Bce sulle sofferenze in capo al Banco Popolare e al loro grado di copertura. Rilievi di cui le due banche, secondo l’ipotesi accusatoria respinta dagli istituti nel frattempo convolati a nozze, erano a conoscenza già prima della formalizzazione della fusione (15 ottobre) e che avrebbero tenuto nascosti al mercato e agli azionisti fino a quando – a fine novembre – le prime indiscrezioni hanno fatto emergere il problema.

Una brutta grana per i vertici dell’istituto e, in particolare, per Giuseppe Castagna accusato da molti soci di aver svenduto l’istituto milanese per le sue ambizioni di potere. Oltre all’indagine della procura, rischia di arrivare nei prossimi giorni anche l’impugnativa dell’assemblea e insomma, per quella che finora è stata la prima e unica aggregazione tra banche popolari, il colpo rischia di essere molto duro, tanto più dopo le pronunce del Consiglio di Stato hanno messo a repentaglio l’impianto stesso della legge di riforma delle banche popolari su cui ora dovrà pronunciarsi anche la Consulta.

La fusione tra le due banche non è stata infatti il frutto di una logica e di un progetto imprenditoriale, ma della necessità di sistemare un istituto “malato”, il Banco con la sua montagna di sofferenze e la sua scarsa redditività, portandolo a nozze con una realtà più piccola ma ben più redditizia (e con molte meno sofferenze). A riprova di ciò basti pensare che il piano industriale è stato presentato solo molti mesi dopo l’annuncio dell’aggregazione e che, soprattutto, il governo Renzi ha fatto enormi pressioni perché si celebrassero queste nozze. Il governo e il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan sono stati talmente giocatori in partita da annunciare via Twitter il via libera all’aggregazione prima ancora che i consigli d’amministrazione dei due istituti fossero terminati e diffondessero un comunicato ufficiale. Ora che però la riforma delle popolari perde pezzi (il Consiglio di Stato ha deciso anche la sospensione del termine di trasformazione in spa respingendo tutte le eccezioni sollevate da governo e Banca d’Italia), che entra in campo la procura e che si rischia anche l’impugnativa della delibera assembleare, il “bubbone” del Banco potrebbe esplodere sul serio e quello che si candidava a diventare il terzo gruppo bancario italiano – scavalcando per dimensioni Mps – potrebbe trovarsi presto ad affrontare problemi imprevisti.