Scienza

Matematica e realtà, credo solo a quello che non c’è

Tra i commenti al mio precedente post, un lettore ha scritto “Kurt Gödel […] aveva ‘dimostrato’ l’esistenza di Dio con rigore matematico. Solo per pudore dell’autore la dimostrazione venne pubblicata postuma, ma sulla carta non fa una grinza. Solo per questo dovrei crederci?”.

Ognuno è libero di credere quello che vuole; da parte mia rispondo che non ci crederei per una “dimostrazione”, pur con l’immensa stima che provo per il grande matematico. Ma il mio non crederci va molto più in là. A che cosa credo sulla base di una dimostrazione logica? Sostanzialmente a ciò che rimane nell’ambito astratto. Il mio esempio preferito è negli scacchi: credo che (se nessun pedone ha attraversato la scacchiera) i due alfieri bianchi non si troveranno mai su caselle dello stesso colore.

Analogamente, se vedo il teorema di esistenza di una soluzione di una data equazione differenziale ci credo! Credo anche che quella soluzione possa dirmi molto su quel pezzo di realtà che l’equazione vuol descrivere; ma non credo che quella soluzione sia realtà. Per dirne una, la soluzione sarà espressa in termini di numeri reali o complessi, ma nessuno strumento può misurare un tale numero: misura semmai un intervallo numerico. Esprimere le grandezze fisiche con numeri reali o complessi è una scelta ragionevole, utilissima, ma pur sempre una scelta.

In fondo tutta la scienza in senso moderno può essere vista come la costruzione di modelli simbolici di parti ben selezionate della realtà. La cosa funziona più o meno così: l’osservazione suggerisce un modello, cioè una specie di gioco di scacchi, che descrive certi aspetti dell’osservato (esempio: la meccanica newtoniana). Ma nel modello si possono fare previsioni! Allora lo scienziato effettua una verifica costruendo un esperimento in cui si possano mettere alla prova quelle previsioni. Queste sono confermate? (Esempio: il comportamento di un satellite artificiale). Bene! Allora se ne può trarre vantaggio: una maggiore conoscenza e magari la possibilità di intervenire su quella fetta di realtà. Non sono confermate? (Esempio: l’esistenza di un tempo assoluto, universale). Bene lo stesso: da una parte s’imparano i limiti di applicabilità del modello, dall’altra vengono idee per costruirne uno più perfezionato, più aderente a quell’aspetto della realtà che si vuole studiare (esempio: la relatività).

Di questo stato delle cose non faccio mistero alle mie matricole, dato che scopo del mio corso è proprio di iniziarle a modelli di questo genere, gli spazi vettoriali. Però, visto che palesemente non è materia d’esame, temo che il mio monito sulla distinzione fra realtà e descrizione matematica lasci ben poca traccia

Questa faccenda di sostituire la realtà nella sua interezza con un modello dichiaratamente parziale doveva piacere assai poco ai filosofi naturali rinascimentali. Sapeva di trucco, d’imbroglio; a Galileo obiettavano che nel suo laboratorio non osservava la natura, ma la violentava. Il fatto è che lui, sostituendo una palla di cannone con il suo baricentro, perdeva senz’altro molta della conoscenza della palla, però riusciva meglio degli altri a spararla dove voleva. Poi, ovviamente, se non ci accontentiamo e vogliamo tener conto della rotazione di un proietto possiamo usare, invece del baricentro, l’ellissoide d’inerzia, eccetera. Via via possiamo perfezionare il modello, che darà sempre maggiori informazioni e permetterà anche una migliore approssimazione numerica del fenomeno; sempre tenendo conto che il modello simula, non “è” la realtà. Per intenderci, è come se scattassimo fotografie (il modello) di una bella donna o un bell’uomo (la realtà): prima in bianco e nero, poi a colori, poi in 3D (modelli sempre più perfezionati); per quanto le foto possano essere suggestive, il soggetto è ben altra cosa…

Intendiamoci: la modellazione matematica è incredibilmente accurata ed efficace! Però – per rispondere al commentatore che citava Gödel – se non riconosco identità fra una verità matematica e la “vera” realtà di quello che la matematica vuol descrivere, figuriamoci se l’accetto parlando di religione!