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  1. Trump cambia la politica estera: Usa mai più guardiani del mondo, sì ad alleanze variabili in base agli accordi economici
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Trump cambia la politica estera: Usa mai più guardiani del mondo, sì ad alleanze variabili in base agli accordi economici - 4/6

Nel 1999 Trump considerò l’ipotesi di presentarsi come candidato alla Casa Bianca per il Reform Party e indicò in un libro i punti del programma. Il tempo della Guerra Fredda era finito, spiegava il miliardario teorizzando la necessità di un leader, capace di fare affari, di giocare su più tavoli e indirizzare le sorti del mondo. Ora che è presidente, strumenti e obiettivi della politica estera Usa sono destinati a cambiare. Lo dimostra l’atteggiamento tenuto sulla questione di Taiwan

Ora che Trump sta per davvero entrare alla Casa Bianca, non è chiaro se quel vecchio ordine internazionale sia davvero a rischio. Quello che è certo è che strumenti e obiettivi della politica estera americana sono destinati a cambiare. Lo dimostra, per esempio, l’atteggiamento tenuto di recente da Trump sulla questione di Taiwan. Il futuro presidente si è detto pronto a riconoscere diplomaticamente Taiwan, a meno che la Cina non faccia concessioni in tema di tariffe commerciali e impegno militare nel Mar cinese meridionale.

Con il tramonto della nozione dell’America “leader e guardiano del mondo”, lo strumento privilegiato diventa infatti quello del negoziato continuo e individuale. In mancanza dei principi democratici generali che l’America diceva di difendere in tempi di Guerra Fredda – e che si potevano rivelare economicamente svantaggiosi – tutto diventa negoziabile. E’ negoziabile l’atteggiamento americano verso Taiwan. Ma è negoziabile anche la politica in Siria e Ucraina. Se la Russia di Vladimir Putin si mostrerà infatti pronta a fare concessioni – soprattutto in termini di commercio e petrolio – è altamente probabile che l’atteggiamento americana verso le strategie russe in Siria e Ucraina sarà più benigna.

Questo ridurre la politica estera a un dealmaking economico e commerciale non sorprende in un presidente che viene dal mondo degli affari e che ha mostrato di continuare a voler fare affari anche da presidente eletto (fonti dicono che Trump ha parlato dei suoi interessi immobiliari a Buenos Aires durante una conversazione con il presidente argentino Mauricio Macri). E questo ridurre la politica estera a dealmaking economico è evidente anche nella scelta di un segretario di Stato come Rex Tillerson, CEO di ExxonMobil, portatore di una serie di interessi petroliferi in comune con la Russia di Putin, che non a caso Trump ha definito “un dealmaker di classe”, capace di “stringere accordi con ogni sorta di governo mondiale”.