Foia, esperti e associazioni all’Anac: “Le sue linee guida affosseranno la legge” - 3/4
In vista del collaudo della nuova legge sull'accesso, previsto per il 23 dicembre, l'autorità di Cantone e il Garante della Privacy hanno stilato due schemi di "linee guida operative" per le Pa che mettono in allarme il mondo della trasparenza: “Sono ancora di una vaghezza pericolosa, rischiano di pregiudicare efficacia e diritti della norma”. Ecco i nodi scoperti. L'Anticorruzione: "Massimo impegno per garantire l’applicazione e l’applicabilità della legge"
La partita aperta oggi, come detto, è sulle linee guida per le Pubbliche amministrazioni. E come sono? A detta delle stesse associazioni peggiorano ulteriormente il quadro, assestando il colpo di grazia all’accesso civico. Foia4Italy, quella che ha fornito un contributo decisivo alla definizione di una buona legge, le definisce “al di sotto delle attese in quanto troppo vaghe e non funzionali”. Tali da consentire alle amministrazioni di “esercitare un amplissimo potere discrezionale, contribuendo, così, a ingenerare disomogeneità nelle risposte che verranno fornite”. Una vaghezza addirittura “pericolosa”, che può spingerle a rifiutare arbitrariamente l’accesso a documenti con decisioni impugnabili solo davanti ai Tar, con conseguente aggravio per i richiedenti, laddove la ratio del Foia era quella di “permettere l’accesso alle informazioni da parte dei cittadini in maniera rapida, immediata e senza aggravio di spese”. Perché l’accesso fosse la norma e il diniego l’eccezione, unicamente dettata dalla necessità di evitare “un pregiudizio concreto” agli interessi pubblici e privati. Ecco i rilievi principali alle linee guide.
- Non basta una mail: chiedere costa
Non basta una semplice mail per l’accesso generalizzato, come per quello civico: servono firma digitale, “spid” o posta elettronica certificata, “allegando copia del documento di identità”. Scelta in contrasto col principio del Foia per cui non tocca al signor Rossi dimostrare di avere titolo per ottenere informazioni ma alle Pa di avere motivi validi per negarle. E dunque poco rileva che l’identità del richiedente sia accertata con strumenti onerosi, scelta che rischia di tagliare fuori una larga fetta di cittadini dalla partecipazione e dalle forme di controllo dell’operato pubblico.
- Conoscere prima di sapere: il paletto da protocollo
Il richiedente deve conoscere prima dell’accesso e “chiaramente” il documento che cerca (il numero di protocollo, una data certa etc…), un controsenso per dati e atti che per definizione non sono stati divulgati, col rischio grottesco di un diniego motivato da una imprecisa definizione dell’oggetto della richiesta. Quell’avverbio era stato espunto dal testo finale su richiesta del Consiglio di Stato. L’Anac sembra non averne tenuto conto.
- Non chiedere “troppo”
Il diniego può avvenire quando il cittadino sa bene cosa chiedere ma chiede troppo. La formula è generica: “un numero irragionevole di documenti che imponga un carico di lavoro tale da paralizzare il buon funzionamento dell’amministrazione”. Il principio è condivisibile, ma chi decide la portata di quel “troppo”? Anche qui si offre agli uffici istruttori margini di discrezionalità assai ampi, anche per lo stato in cui versano le piante organiche degli uffici che potranno sempre essere accampate a pretesto per non soddisfare le richieste.
- Diritti contrapposti, quale prevale?
Le linee operative risultano deboli anche in caso di diritti contrapposti, come nei documenti portatori di “interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, proprietà intellettuale, diritto d’autore e segreti commerciali”. Ma allo stesso tempo il copyright non può essere usato per negare totalmente l’accesso. Soluzioni? Negli Usa, ma anche secondo le nostre norme sul diritto d’autore, dirimente è l’uso che viene fatto dei documenti, che dovrà essere conformato alle limitazioni di legge. Ergo: si conceda in linea generale l’accesso e lo studio di una copia, con limitate e ben individuate eccezioni.
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