Società

Roma, quella guerra tra poveri che racconta un’Italia sconosciuta alle élite

Chissà che la chiave della vittoria del NO al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre, si trovi proprio lì, in quel quartiere romano – San Basilio – dove, a un’onesta e lavoratrice famiglia di marocchini, è stato impedito di prendere possesso di una casa popolare regolarmente assegnata: un caso raro, tra l’altro, per la città di Roma, dove sulle case popolari si verifica da anni il più scandaloso intreccio tra corruzione, politica e omertà dei cittadini. E dove non ci sono mai state regole chiare, perché le case vengono assegnate quasi sempre per clientelismi a persone che non possiedono i requisiti indicati dalla legge. C’è chi, magari, arriva a subaffittare la casa popolare, pur di non perdere il privilegio. E chi sfonda le porte per occupare case legittimamente date ad altri.

Insomma, un contesto di mancanza di regole e degrado totale, simbolo di un problema enorme che a Roma non smette di essere tale: quello abitativo. Di case hanno bisogno tutti: gli italiani poveri e gli stranieri poveri, ma anche gente onesta che lavora, sia italiana che straniera, che, però, non può permettersi quei mille euro al mese per affittare un appartamento, perché altrimenti farebbe la fame. E dire che le case ci sarebbero, ma la politica finora non è stato in grado di rispondere con fermezza e chiarezza a questa emergenza perpetua. Ci ha provato l’ex sindaco Ignazio Marino, promettendo che avrebbe finalmente eliminato i costosissimi residence e creato altre case popolari da assegnare in base a criteri rigorosi, ma la sua amministrazione è stata troppo breve per risolvere uno dei problemi più gravi tra quelli che affliggono la Capitale.

E allora cos’è stato quell’episodio di ieri a Roma, una scena che fa venire le lacrime agli occhi solo a pensare a quei tre bambini spaventati che speravano di avere un casa con una cameretta e hanno vissuto sulla loro pelle – non lo dimenticheranno – un odio infinito che li ha respinti nella precarietà abitativa da cui provenivano? Razzismo, senz’altro, la stupidità di non capire che i poveri semmai dovrebbero stare dalla stessa parte, e che il nemico è chi lascia intere famiglie in condizione di degrado, com’è il caso dei condomini popolari di San Basilio, ricevendo in cambio – degrado chiama degrado – il mancato pagamento dell’affitto, sia pure minimo. Razzismo, dicevo, ma anche la radicalizzazione della guerra tra poveri. Sbagliata, assurda, soprattutto combattuta sulla pelle di minori che mai dovrebbero trovarsi in una condizione simile.

Ma allora basterebbe smettere di guardare alla futuristica Milano, o al modello perfetto del Trentino, per parlare di un’Italia che ce la fa. E scendere giù all’inferno, nella periferia romana, che è come quel sud abbandonato di cui ha parla Saviano. Interi quartieri senza alcun controllo, dove ci si arrangia, in una situazione di semi illegalità e di totale degrado sulla quale nessun governo, locale o nazionale, sembra capace di incidere. La responsabilità dell’assegnazione delle abitazioni, certo, è dell’amministrazione comunale, e ora vedremo cosa intende fare la sindaca pentastellata Virginia Raggi – sia per questa famiglia, sia per il dramma case a Roma – ma a livello più generale è di quelli che hanno governato finora. Ultimo il governo Renzi, che ha giocato le sue carte su un ottimismo che si infrange contro la realtà di migliaia di situazioni simili a quella di San Basilio: povertà diffusa, mancanza di lavoro, precarietà abitativa, mancata integrazione, e ancora corruzione e degrado.

Quanto è lontana, vista da qui, la battaglia sulla Costituzione, con tutta la sua retorica, il tentativo di vendere una riforma simile come la soluzione dei problemi dell’Italia, quando la maggioranza chiede solo pochi fatti, ma certi: lavoro, casa, diritto di cura, città non abbandonate all’illegalità e alla malavita, come Roma ha dimostrato di essere in ogni suo meandro (vedi le inchieste su ‘Mafia Capitale’).

Come se ne esce? Almeno riconoscendo il male, evidenziando il dolore, e soprattutto con onestà: invece di dire che l’Italia riparte, che stiamo viaggiando verso il meglio, sarebbe stato più efficace raccontare le enormi ferite di questo Paese, con sincerità e partecipazione. E dire: non so se possiamo risolverle, ma questo è ciò che dovremmo fare, questo è ciò che proveremo a fare, consapevoli della tragicità in cui sta sprofondando l’Italia. Sarebbe stato più autentico. E più compreso rispetto a un ottimismo privo di agganci reali, a parte poche isole felici. Che i prossimi governi non lo dimentichino. Perché è su realtà come quelle di San Basilio che naufraga l’Italia. E insieme a lei, l’Europa.