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Firme false M5s Palermo, dieci indagati. Sentite da Digos 400 persone: “Centinaia non le hanno riconosciute”

Primi inviti a comparire nell'inchiesta relativa alle comunali del 2012. Sotto inchiesta anche i deputati nazionali Nuti e Mannino. Depositata l'informativa con le testimonianze delle persone che comparivano negli elenchi. Contestato un reato del testo unico sulle elezioni amministrative, che punisce sia chi manomette la documentazione richiesta per presentare la lista sia chi ne "fa uso"

Arrivano i primi inviti a comparire nell’indagine sulle firme false depositate dal Movimento 5 Stelle alle amministrative di Palermo del 2012. Sono almeno dieci gli atti firmati dal procuratore aggiunto Dino Petralia e dal pm Claudia Ferrari e inviati alle persone coinvolte nell’inchiesta, ma non è escluso che il numero degli indagati possa continuare a crescere.

Intanto da sabato mattina due deputati regionali, due parlamentari nazionali, cinque attivisti e il cancelliere chiamato ad autenticare le firme cominceranno a materializzarsi al secondo piano del palazzo di giustizia di Palermo. Alcuni lo hanno già fatto, come la deputata regionale Claudia La Rocca, che ha deciso di collaborare con la magistratura ammettendo di essere tra gli attivisti che nell’aprile del 2012 si trovò a ricopiare le firme per presentare la lista dei grillini alle comunali. La Rocca è l’unica, insieme all’altro deputato regionale Giorgio Ciaccio, a essersi autosospesa dal Movimento. Scelta che non hanno invece ancora fatto i due parlamentari nazionali indagati: Claudia Mannino e Riccardo Nuti, che hanno spiegato di voler aspettare prima l’avviso di garanzia. È per questo motivo che adesso dai vertici del Movimento si ipotizzano nuove sospensioni, in relazione anche all’inchiesta parallela della procura di Bologna, che ha iscritto quattro persone nelle liste degli indagati per presunte irregolarità nella raccolta firme.

Nel capoluogo siciliano, invece, la lista degli indagati continua con Giuseppe Ippolito, il candidato al consiglio comunale che ha involontariamente dato origine al caso delle firme false: è nato a Corleone, ma nei moduli utilizzati per la raccolta firme figurava come nativo di Palermo. È per questo motivo che nella notte del 3 aprile del 2012 Samantha Busalacchi, collaboratrice del gruppo parlamentare M5s all’Assemblea regionale siciliana (ma la collaborazione è stata sospesa oggi dopo la notizia delle indagini della procura) mandava una mail agli altri attivisti: “Rischiamo di non poterci candidare – scriveva – non è uno scherzo quindi datevi una mossa”. Anche Busalacchi è tra gli indagati, insieme a un altro ex candidato al consiglio comunale, Stefano Paradiso, anche lui molto vicino a Nuti.

Lontano dalla corrente dell’ex capogruppo alla Camera è invece l’avvocato Vincenzo Menallo, attivista della prima ora uscito poi dal Movimento nel 2014 in polemica proprio con Nuti: anche lui – secondo indiscrezioni – è nella lista degli indagati. “Non ho niente da dichiarare – dice – né mi è stato comunicato nulla”. A tirarlo in ballo probabilmente è Vincenzo Pintagro, attivista della prima ora, che davanti ai microfoni delle Iene per primo aveva raccontato la vicenda delle firme ricopiate. Un racconto poi confermato davanti agli inquirenti durante un interrogatorio durato più di due ore. La lista degli indagati si completa poi con il nome di Giovanni Scarpello, il cancelliere che ha autenticato i moduli con le firme depositate in municipio dai grillini quattro anni fa. Solo che quasi un terzo di quegli autografi era stato ricopiato. Lo certifica l’informativa depositata dalla Digos in procura in mattinata. Gli investigatori hanno fatto un controllo a campione sui vari fogli dei moduli convocando quattrocento persone che nel 2012 avevano firmato per sostenere la lista dei 5 Stelle: almeno 150 persone non hanno riconosciuto la grafia della loro firma.

Addirittura due testimoni hanno negato di aver mai firmato per sostenere la lista dei 5 Stelle, ma solo in favore del referendum sull’acqua pubblica. Un dubbio analogo è stato espresso da Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, la figlia del giudice assassinato in via d’Amelio, che però è solo stato convocato dalla Digos, ma non ha ancora potuto confermare o meno la paternità della sua firma contenuta nei moduli depositati dai grillini. Non figurano tra gli indagati – e al momento neanche tra i convocati in procura – i nomi dell’onorevole Loredana Lupo e del marito Riccardo Ricciardi. Una recente puntata delle Iene, infatti, li accusa di essersi recati in casa del portiere dello stabile in cui abitano, per raccogliere le firme dell’intera famiglia: secondo la legge, però, quegli autografi dovevano essere apposti sui moduli in presenza dell’autenticatore. In più, sempre secondo la trasmissione Mediaset, nei moduli con le firme di Lupo e Ricciardi ci sarebbe un’anomalia: i loro autografi sarebbero autentici, mentre quelli del portiere, della moglie e della figlia (contenuti negli stessi fogli) risulterebbero ricopiati.

L’indagine della procura, in ogni caso, potrebbe presto riservare nuove puntate. I pm infatti ipotizzano per gli indagati il reato disciplinato dall’articolo 90, comma secondo, del testo unico 570. La norma letteralmente punisce “chiunque forma falsamente, in tutto o in parte, liste di elettori o di candidati od altri atti dal presente Testo Unico destinati alle operazioni elettorali, o altera uno di tali atti veri oppure sostituisce, sopprime o distrugge in tutto o in parte uno degli atti medesimi”, ma anche “chiunque fa uso di uno dei detti atti falsificato, alterato o sostituito”. Tradotto: perseguibili non sono solo le persone che hanno ricopiato le firme, ma anche chi ha beneficiato di quell’atto. Nel caso delle comunali del 2012, nessuno tra i 5 Stelle è riuscito a centrare l’elezione. Sei mesi dopo, però, Beppe Grillo autorizzò soltanto chi si era già candidato con il Movimento a correre per le elezioni politiche e quindi ad andarsi a sedere alla Camera e al Senato.