Società

Emilia Romagna: no vaccino, no asilo. Quando è giusto vietare la libera scelta

Come al solito è stata lei, l’Emilia Romagna, a rappresentare l’avanguardia: d’ora in poi per accedere all’asilo i bambini dovranno essere vaccinati. Non mancheranno le polemiche, gli scontri, le critiche, specie da parte dei gruppi sempre più consistenti e ideologicamente agguerriti dei “pro natura”“no vaccino”. Ma per fortuna le istituzioni hanno reagito in questi mesi con sempre maggiore fermezza – e maggiore comunicazione ai cittadini – di fronte al calo inquietante della protezione vaccinale sotto la soglia minima che garantisce la protezione anche ai piccolissimi, e cioè il 95% di bambini.

Ma la vicenda fa riflettere, e fa riflettere me per prima. Perché pur avendo vaccinato sempre i miei figli anche per malattie come morbillo o varicella – ho sempre pensato che non avevo abbastanza informazioni scientifiche per decidere di non farlo – ho subito anche io il fascino dei “no vaccino”. Non solo per il tema dei vaccini in sé, ma soprattutto perché il consiglio di lasciare che i bambini sviluppino da soli le proprie reazioni immunitarie – questa in genere è l’argomentazione principale del fronte dei critici – è solo un tassello di una visione più ampia, come scrivevo “pro natura”, che sta prendendo ormai piede in maniera radicale in tante persone e soprattutto tanti genitori (specie madri). Ne fanno parte, ad esempio, la cura esclusiva dei bambini con rimedi omeopatici, il parto naturale, possibilmente in casa, il rifiuto dell’epidurale, l’allattamento a richiesta e a oltranza, i pannolini di stoffa, il rifiuto del passeggino, l’uso delle fasce e altri comportamenti ecologico-naturali, il cibo esclusivamente biologico. Tutti aspetti sui quali, confesso, anche io ho cambiato posizione varie volte, perché è davvero difficile, nel coro di posizioni contrastanti, riuscire ad avere una posizione giusta ma soprattutto non estrema, ma di mediazione.

La visione “naturalista”, che si presenta come rispettosa delle persone e delle loro scelte ed emozioni soggettive, finisce però spesso per diventare un’ideologia che si estende ad ogni ambito della vita e che sempre più si presenta come non negoziabile, perché assolutamente buona, cioè assoluta. Il parto cesareo diventa qualcosa da scongiurare ad ogni costo, il latte artificiale un nemico radicale, l’allattamento al seno una scelta non opzionale, visto che senza latte materno i bambini rischierebbero malattie gravi da piccole e da adulti, il cibo industriale – cioè tutto il nostro cibo – qualcosa di maligno. E così via. Insomma si comincia con l’acquisto di una fascia, si continua con allattare il bambino fino a due anni e curare esclusivamente con l’omeopatia, si finisce col non vaccinare i bambini. Tutti aspetti che spesso – dico spesso, non sempre – si tengono insieme.

Forse è con questo modo di vedere le cose che ogni bisognerebbe dialogare. È vero, si tratta di una filosofia ancora minoritaria, diffusa specie tra le frange socialmente più colte della popolazione, ma in estensione crescente. Certo, si potrebbe obiettare, che male fa chi sostiene che l’allattamento naturale –  nel mondo della speculazione sui latti artificiali – sia la scelta migliore per la madre, o chi cerca di rendere consapevoli le donne che in sala parto hanno i loro diritti e possono chiedere di non avere un cesareo (o di non dover sottostare al rito dell’ossitocina, delle manovre di Kristeller, della ventosa?). Nulla, è vero, purché però quelli che sembrano consigli più che giusti non diventino velatamente parte di una sorta di religione naturale che fa fatica a tollerare le mediazioni. Come ad esempio quella di una madre che decide di passare al latte artificiale quando è tempo di rientrare in ufficio perché a casa non ce la fa più. O quella di chi non partorirebbe mai senza epidurale, perché non tollera il dolore, semplicemente. O quella di chi decide di vaccinare i figli perché la scienza è scienza e non ideologia, mentre troppo spesso le posizioni naturaliste tendono ad essere antiscientiste (come se la scienza non ci rivelasse la natura).

In questo quadro, meglio dunque, un po’ come la legge sulle quote rosa, imporre la vaccinazione, impedendo quella libera scelta che ormai noi – insofferenti a ogni imposizione, sia pure quella di levarci le scarpe per passare sotto il metal detector – riteniamo sacra anche quando va a scapito della comunità. Perché un altro aspetto che la visione pro vaccini e pro natura spesso nasconde, dietro una facciata bucolica, è un profondo individualismo. Il mio bambino vive nella Natura – pure se poi la maggior parte di chi difende questa posizione vive in città inquinate – se poi le altre madri decidono di dare cose cattive ai loro figli (cibo cattivo, vaccini, latte artificiale) peggio per loro. Ma così dimenticano che l’eguaglianza tra bambini è ben più importante di una merenda biologica e che l’interdipendenza è un dato di fatto: non ti vaccini tu, mi ammalo anche io. E questo davvero non è tollerabile.