Musica

Random Clockwork: elettronica, rock e casualità

Band electro-rock composta da cinque elementi, i Random Clockwork si presentano sul palco indossando una maschera argentata dal design a 8 bit, raffigurante per ognuno il proprio spirito guida animale. Una spersonalizzazione che permette loro di offrire percezioni, visioni e ascolti diversi da quelli che si hanno normalmente. L’effetto scenico dal vivo è notevole, con i sintetizzatori in primo piano, le tastiere ribaltate, il bass-synth e la chitarra processati che deviano dal loro raggio d’azione, e i beats elettronici che forniscono una vasta gamma sonora. Le atmosfere che creano sono il loro punto di forza, merito anche dei vocalizzi della frontwoman Danila Monfreda, che avvicenda momenti di catarsi ad altri che lasciano libero sfogo a un impeto prorompente. Human Data Storage è il titolo della ‘collezione’ dei brani con cui i Random Clockwork si affacciano sulla scena musicale dopo anni di gavetta. Pezzi come Faster Transmission, Amigdala e Felina sono il risultato di un catartico azionismo dance/pop/metal: un primo esame che permetterà loro di testare fin dove questo “meccanismo casuale” (da qui il nome Random Clockwork) possa spingerli. Proviamo a scoprirlo in questa intervista con Luigi Sardellitti e Valerio D’Anna, rispettivamente bassista e tastierista della band.

Partiamo dalla scelta del nome Random Clockwork.
I due termini “random” (casuale) e “clockwork” (meccanico) sono due termini in antitesi, che però si avvicinano sia al nostro modo di approcciarci alle composizioni sia alla visione che abbiamo della realtà che ci circonda, che riteniamo essere un meccanismo casuale o, se vogliamo, una casualità meccanicistica. Lo stesso discorso vale per l’approccio alle composizioni: l’ispirazione per le tematiche affrontate nei brani parte sempre da un concetto di base, e mai da una base musicale. C’è sempre prima un concetto di base. C’è una ispirazione che può attingere ovunque – in modo casuale –, e la messa in opera invece è meccanica, a mo’ di colonna sonora per quel film che ci siamo fatti per esporre la nostra visione su una data tematica.

Qual è la genesi dei Random Clockwork?
Abbiamo iniziato con sessioni di improvvisazione fatte esclusivamente dal vivo e nei più disparati contesti, in cui  la sequenzialità delle macchine incontrava la casualità della jam: il catalizzatore di quella che chiamiamo ‘reazione chimica instabile’ è stato l’inserimento della voce di Danila Monfreda, che ha spinto il progetto verso una direzione ben definita. L’arrivo poi di Andrea Paesano al sequencer e Giovanni Macioce alla guitar synth, e l’aggiunta di altri elementi melodici, hanno stabilizzato il processo portandolo all’attuale formazione.

Mi spiegate cosa rappresentano le maschere che indossate sul palco?
Ci siamo immediatamente innamorati di queste maschere principalmente per il design molto 8 bit e spigolose. Ogni maschera rappresenta un animale guida per ognuno: quel che uno è realmente lo percepisce da come viene visto dagli altri e le maschere servono per spersonalizzarci e proiettare gli spettatori in quella visione subconscia che offre il nostro immaginario.

La vostra musica è un mix fra dance, pop e metal: come definite il vostro genere?
Per restringere il campo preferiamo definirci una band electro-rock, anche se ci sono molte sfumature tra i vari brani. In Wires ad esempio suoniamo un dub-step sperimentale, in The Hopscotch un’elettronica unita al rock. Meccanismo casuale, suggestioni e movimento, sono le coordinate su cui si muove la nostra musica, il cui sound è caratterizzato da una certa attitudine alternative anni Novanta, quando il rock cominciava a vestirsi di elettronica.

Quale credete sia la band a voi più affine?
Non abbiamo una band affine, e in più non riusciamo a fare un paragone con altri gruppi. Probabilmente, se avessimo un cantante incazzoso avremmo detto i Nine Inch Nails. La voce di Danila, invece, è l’esatta mediazione tra il pop, il rock e l’elettronica.

Human Data Storage è il titolo della ‘collezione’ dei brani con cui vi affacciate sulla scena musicale dopo anni di gavetta. Che tipo di disco sarà?
Human data storage consiste nell’immagazzinamento di dati umani, i nostri ricordi che compongono visioni e considerazioni sviluppate negli ultimi anni. I brani sono suggestioni-considerazioni su determinati aspetti della nostra vita, perché cerchiamo sempre di estrapolare discorsi simbolici anche se con un linguaggio diretto nei testi. Il disco sarà composto da 10/11 brani, ma non sappiamo ancora quando uscirà, ma è già pronto, mancano gli ultimi ritocchi.