Cinema

Roberto Benigni alla Festa del cinema di Roma: “Voglio fare un film di un’allegria sfrenata. Con Tom Hanks”

Il premio Oscar alla kermesse capitolina dopo la cena di gala con Obama e Renzi negli Usa. La sua ospitata è uno show: tra progetti per il futuro e aneddoti del passato, c'è spazio per una dedica speciale alla moglie Nicoletta Braschi

Gli aveva detto “Antonio, sono a cena da Obama mercoledì, possiamo spostare l’incontro alla Festa?”. Certamente Monda, un po’ americano anche lui, non poteva mettersi in competizione col “suo” Presidente: detto fatto Roberto Benigni ha tenuto il suo Incontro Ravvicinato alla kermesse romana oggi nel tardo pomeriggio. Osannato come nessun altro in una Sala Sinopoli stracolma di pubblico tra cui anche il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti seduto accanto a Nicoletta Braschi, ha esibito la consueta capacità affabulatoria e scanzonatoria verso tutto e tutti, incluso, appunto l’uomo più potente del mondo. “Roberto, sei libero per cena il 18 sera?” mi hanno scritto dalla Casa Bianca. Mica potevo dirgli di no a Barack. Così sono andato ed era tutto tricolore, e la Casa non era più “solo” Bianca. Persino i cani erano bianchi rossi e verdi! Con un po’ di italiani mi sono messo in fila, s’è intrufolato persino Matteo Renzi. Poi Obama si è intrattenuto anche con me, mi ha detto aveva amato molto La vita è bella che l’aveva visto con le bambine e mi ha citato dal palco della cena, forse perché voleva far ridere gli invitati. E comunque Barack e Michelle sono tra le più straordinarie personalità della nostra epoca”.

Aneddoti comici, ricordi epici, storie incredibili. Il Roberto nazionale ha anche dato alcune notizie ghiotte rispetto al suo rientro nel cinema dopo anni di letture dantesche, costituzionali e teologiche. “Ora ho un desiderio irreprimibile di fare un film di un’allegria sfrenata! E poi ho saputo che Tom Hanks vorrebbe lavorare con me: ebbene, sono pronto a fare un film con lui, visto che lo considero uno dei grandissimi attori contemporanei”. Ma nel ricco pentolone dell’ex Piccolo Diavolo forse bolle anche qualcos’altro. Il regista e attore premio Oscar lo confessa mentre non trattiene le risate: “E’ vero, Terrence Malick mi vuole in un suo film su San Pietro nella parte del diavolo! Lo so che non ci credete. È successo così: ci siamo conosciuti agli Oscar nel 1997. In platea qualcuno mi tocca la giacca e mi indica un signore col cappello da texano che mi salutava con la mano. Poi si presenta: “I am Terrence Malick” e io “Porca miseria, Terrence Malick in persona!” Chiaramente sapete tutti che lui non si fa mai vedere. È un personaggio misterioso e incredibile. Peraltro è religiosissimo, conosce buona parte della Divina Commedia a memoria. E’ anche venuto a trovarmi a Roma all’epoca, poi si sono inseriti altri progetti ma siamo ancora in contatto, chissà che la cosa non vada in porto..” D’altra parte se è vero che diavolo e acqua santa si specchiano, non stupisce quindi che Michelangelo Antonioni lo volesse – invece – nel ruolo del santo tra i santi: Francesco d’Assisi. “Eravamo diventati amici quando lui è venuto a vedermi in Berlinguer ti voglio bene! del grandissimo Giuseppe Bertolucci che mi manca tanto. Mi ha mandato tanti soggetti, ma insisteva su San Francesco, purtroppo non siamo riusciti a farlo ma sarebbe stato bellissimo”. Il rapporto con il mondo religioso ed ecclesiastico è una costante per l’anticlericale ma a modo suo credente Benigni (“credo fermissimamente in Dio ma non so se esiste”): iniziato rocambolescamente con quel “Woitilaccio” che gli costò un processo perso col Vaticano, è proseguito con gli abbracci e la commozione dello stesso Giovanni Paolo II post visione de La vita è bella ed ora continua con Papa Francesco che addirittura gli ha telefonato a casa. “Il problema – racconta il mattatore toscano – è che mi ha telefonato alle 8 del mattino e io dormivo. Qualcuno gli ha detto ‘Sì, Roberto c’è ma dorme, può richiamare domani?’. E lui mi ha richiamato: me lo sarei abbracciato per la sua dolcezza!”.

E diversamente divini sono, per Benigni, i suoi miti d’ispirazione nonché gli amici di una vita: da Charlie Chaplin (“l’incontro col suo cinema ha cambiato la mia vita e mi ha fatto scegliere di entrare in questa bellezza. Lui mi ha frastornato. Mi chiedevo come si fa a far ridere ed essere sempre poetici. Lui era il principe degli anonimi, ha fatto diventare preziosi tutti gli anonimi del mondo”) a Federico Fellini con cui ha girato l’ultimo film del maestro La voce della luna nel 1990 (“Lo considero davvero la vetta dell’arte moderna, ha contribuito a far diventare il cinema una delle vette dell’arte moderna, per me lui e il più grande regista del ‘900: La dolce vita è un inferno travestito da paradiso. Come Dante, Federico ha fatto tutti noi italiani parte della sua vita, lui vedeva dentro alla nostra anima”), dall’amatissimo Massimo Troisi (“Un’amicizia magnifica. Facevano le cose nate sulla purezza dell’allegria. Dietro a Non ci resta che piangere c’è una sgangheratezza unica, c’erano scene totalmente improvvisate. Ridevamo insieme di tutto. Per me stata perdita immensa, Massimo era un autore del cinema, non era solo un corpo comico dentro al cinema”) a Totò (“Era una maschera inquietante e misteriosa, un vero segreto. Io ero affascinato e terrorizzato da lui, la sua grandezza stava nel macabro”).

Il grande comico celebra anche l’ammirazione sconfinata per Elia Kazan, Jim Jarmush (“Siamo tuttora grandi amici”), Robin Williams, Blake Edwards, Tom Waits (“che aveva una casa piena di topi..”) e Walter Matthau. Ma è soprattutto Nicoletta Braschi, moglie e sodale di una vita, che Benigni offre una dedica speciale: “Con il suo ingresso nel mio cinema la farsa si è trasformata in commedia. Da allora poi abbiamo fatto tutto insieme. Per me lei e una benedizione“. Una vita, la sua, certamente trasformata in toto anche 19 anni fa dal celebratissimo La vita è bella, un’esperienza cinematografica che ha “ricevuto un trionfo d’amore da parte del mondo” ricorda Benigni. “Non è affatto una commedia ma una vera e propria tragedia: inizia bene e finisce male. Cerami ed io, infatti, volevamo fare una tragedia su un campo di concentramento, il luogo peggiore possibile. Il luogo dove Adorno disse che finiva la poesia. Io penso invece che la vita si riprenda tutto, persino la poesia dopo Auschwitz: anzi, anche la stessa frase di Adorno è diventata poesia”.