Lavoro & Precari

Foodora, le promoter cacciate via WhatsApp: “Licenziate al telefono per aver partecipato a un incontro pubblico”

Prima una telefonata da parte del loro responsabile. Poi la rimozione dal gruppo e dalla app riservata ai collaboratori. Così Ambra e Ilaria, dopo una riunione in cui hanno incontrato fattorini in agitazione per le condizioni contrattuali, hanno saputo della sospensione del loro contratto di lavoro con l'azienda che distribuisce cibo a domicilio. E hanno deciso di reagire per vie legali. Il comunicato: "Rispettiamo le norme. Da novembre aumenteremo compensi e offriamo sconti per la manutenzione delle bici"

“Di fatto sì, siamo state licenziate al telefono per aver partecipato ad un incontro pubblico”. Hanno deciso di parlare, Ilaria e Ambra, le due promoter di Foodora che si sono viste sospendere il contratto con una chiamata sul cellulare di pochi minuti e una notifica su WhatsApp. E hanno deciso di raccontare la loro storia a ilfattoquotidiano.it dopo settimane di silenzio assoluto: “Abbiamo deciso col nostro avvocato di non rilasciare dichiarazioni nei giorni scorsi”. Avvocato? “Sì, perché nel frattempo ci siamo mosse per vie legali: è l’unica cosa che potevamo fare per veder rispettati i nostri diritti“.

A farsi portavoce delle due promoter è Ilaria, 29enne torinese laureata in antropologia ed esperta di cultura indiana. Con Foodora, l’azienda tedesca che si occupa della consegna di cibo a domicilio attraverso fattorini-ciclisti, collabora dal novembre del 2015. “La mia passione è la ricerca, ma per sopravvivere do ripetizioni e faccio la barista. Quello come promoter di Foodora – spiega – era insomma il terzo lavoro: precario, ma comunque utile per arrotondare”. Viene assunta con un cococo (contratto di collaborazione coordinata e continuativa): paga oraria lorda di 5,60 euro, “ma a volte con alcuni turni speciali si arrivava fino a 7 euro netti”. Il suo compito? Fare volantinaggio, pubblicizzare offerte e promozioni. “Quando andava bene, riuscivo a fare anche 90 ore al mese e pagarmi l’affitto”.

Il rapporto con l’azienda s’incrina a partire da settembre. I rider cominciano a discutere, in modo sempre più insistente, sulle richieste secondo loro inappropriate avanzate da Foodora ai collaboratori. E anche alcuni promoter si lasciano coinvolgere nel dibattito. “Il punto è che a noi sembrava che il nostro lavoro fosse di tipo subordinato, e dunque incompatibile col nostro contratto”. Alla prima riunione, giovedì 29 settembre, partecipa solo Ambra. “Il nostro responsabile – dice Ilaria – l’ha saputo subito: e ha pensato che oltre ad Ambra ci fossi anche io, visto che siamo le due più adulte nel gruppo delle promoter e che siamo molto legate tra noi”. Poi, la sera del 6 ottobre, le due amiche vanno insieme all’assemblea incriminata. “Ma assemblea è un termine che non rende bene l’idea”, ci tiene a precisare Ilaria. “Induce a pensare a qualcosa di ufficiale, rimanda a una logica prettamente sindacale che non è appropriata al caso. Di fatto, si è trattato piuttosto di un incontro libero, a cui abbiamo partecipato senza alcuna sigla di rappresentanza e senza neppure un logo di Foodora. Ci siamo semplicemente ritrovati in un luogo pubblico, aperto a tutti, nel cortile della Cavallerizza, uno spazio culturale nel centro di Torino”.

Di lì a poche ore, però, perderanno il lavoro. “Ambra era rimasta a dormire da me, quella notte. La mattina – racconta Ilaria – veniamo svegliate dal suo cellulare che squilla. È il nostro responsabile, che le comunica come da quel momento, stando ad una direttiva arrivata dal quartier generale di Milano, lei non faccia più parte di Foodora”. Mentre cercano di realizzare, scoprono che i loro due profili sono stati cancellati da Shyftplan, l’applicazione tramite la quale i collaboratori dell’azienda prenotano i loro turni di lavoro. Di lì a pochi minuti, l’ulteriore conferma: “Sì, è a quel punto che ci arriva la notifica della nostra rimozione dal gruppo WhatsApp delle promoter. Il tutto, tra l’altro, senza che io ricevessi alcuna comunicazione diretta. Ed è per questo motivo – continua Ilaria – che ho deciso di chiamare io il nostro responsabile”. L’esito della chiamata, però, è disastroso. “I toni si sono accesi, lui mi ha detto che in fondo era contento di essersi liberato di noi. E ha aggiunto che non avevamo alcun diritto di partecipare a quell’incontro pubblico, anche in virtù del fatto che le condizioni di noi promoter sono comunque migliori di quelle che vivono i rider”. Licenziamento via telefono, insomma. E quando si fa notare alle due ragazze che l’azienda ha già smentito questa ricostruzione, Ilaria reagisce: “Abbiamo le prove di quanto diciamo. E siamo pronte a mostrare gli screenshot della nostra rimozione dai gruppi”.

Immediata, a quel punto, matura nelle due ragazze l’idea di rivolgersi ad un avvocato. “Per ora – dicono – preferiamo non entrare nei dettagli della nostra iniziativa legale. Ma possiamo rivelare che contestiamo sia le nostre precedenti condizioni di lavoro, sia ovviamente le modalità del nostro licenziamento”. In ogni caso non puntano al reintegro. “Come potremmo tornare a collaborare con Foodora? Temiamo ripercussioni. E poi anche le nostre colleghe promoter non ci hanno mostrato una grande solidarietà”. Rancori personali? “No – spiega Ilaria – In parte capiamo la loro reazione. Sono tutte più giovani di noi due. Al contrario, dimostrazioni di vicinanza ci sono arrivate dai rider, che continuano a protestare e almeno un po’ sappiamo che lo fanno anche per noi”.

Nel frattempo Cgil, Cisl e Uil Torino hanno diffuso una nota congiunta in cui “appoggiano le iniziative di lotta delle lavoratrici e dei lavoratori di Foodora, ritenendo inaccettabili le condizioni imposte dall’azienda”, e chiedono “l’apertura di un tavolo di confronto vero, volto a migliorare le condizioni dei lavoratori di Foodora, affrontando il problema del cottimo, dell’introduzione di una paga oraria dignitosa, del superamento delle attuali modalità di controllo a distanza, del ‘capolarato digitale’, del riconoscimento delle spese di manutenzione di tutti gli strumenti di lavoro”.

L’azienda, che stando a quanto detto mercoledì dal ministro Maria Elena Boschi è ora oggetto di un’ispezione del ministero del Lavoro, ha diffuso un comunicato in cui si difende dalle critiche sottolineando che “sta operando nel pieno rispetto della vigente normativa” e “in aggiunta al compenso economico per le consegne dei rider versa regolarmente i contributi e i premi assicurativi, rispettivamente all’Inps e all’Inail, a copertura in caso di ricovero ospedaliero, maternità e infortuni sul lavoro, e i contributi previdenziali”. Tuttavia, aggiunge, dal primo novembre “allineerà il compenso per ordine in entrambe le città nelle quali è presente, incrementandolo a 4 euro lordi a consegna. Secondo il dato storico, i rider consegnano in media almeno 2 ordini ogni ora, pari ad un compenso medio di 8 euro lordi (7,20 euro netti) ogni ora, superiore rispetto allo schema remunerativo orario precedente (5,60 euro lordi all’ora)”. L’azienda ha inoltre “stipulato un’ulteriore assicurazione integrativa per tutti i danni a terze parti durante l’attività” e “sottoscritto alcune convenzioni per la manutenzione delle biciclette (50% di sconto sul listino presso le officine convenzionate) a beneficio dell’intera flotta”.