Cultura

Ken Loach, Pasolini e la rabbia

“Se non sei arrabbiato, che razza di persona sei?”. Questa frase di Ken Loach sgretola la soddisfatta proiezione del proprio benessere sulla realtà sociale che corre in certe stigmatizzazioni delle passioni timotiche (odio, risentimento, rabbia). Loach parla del suo nuovo film Io, Daniel Blake, premiato con la Palma d’oro all’ultimo festival di Cannes. È la storia di un uomo che non potrebbe, per le proprie condizioni di salute, lavorare, che anzi non deve perché gli è stato proibito, ma si trova costretto per un grottesco avvitamento burocratico a dover cercare comunque lavoro. “Quella costante umiliazione per sopravvivere”, dice Loach. Ed è questo che produce la sua rabbia. Loach, scrive il suo intervistatore per il Guardian Simon Attenstone, ha passato mezzo secolo a fare film vibranti di rabbia, e quest’ultimo è il più arrabbiato di tutti. Un sentimento antico: una volta l’odio e la rabbia avevano cittadinanza politica. Adesso la cappa perbenistica li ha spinti ai margini del discorso pubblico, verso il confine: hic sunt leones.

Lentamente, però, una parte di quel linguaggio si è trasformata, e scivolando è ricomparsa nelle forme di un ribellismo terminologico che altro non è se non la posa plastica ed estetizzante di proposte politiche non più a sinistra di Ted Kennedy. È facile oggi sentir parlare di rivoluzione, per esempio, da soggetti che persino agli occhi dei socialdemocratici degli anni 70 sembrerebbero gli esponenti una destra conservatrice e filo-borghese e capitalistica. Anzi, direi che la trasformazione del linguaggio dell’insurrezione in gergo estetizzante è stata in qualche modo il risultato della presa di coscienza, da parte di chi vi aveva creduto, dell’impossibilità della rivoluzione ‘vera’. Il linguaggio si fa il simulacro della prassi, la assorbe e la esaurisce, ne diventa la maschera, e in quanto maschera è depotenziata, rappresentata, inoffensiva.

La neutralizzazione di quel linguaggio è stata colta da chi, pur lontano dalle posizioni estremiste, ha capito che avrebbe potuto impossessarsi del solo lessico. Dunque ‘rivoluzione’ è termine che non fa più paura a nessuno. È parola non solo del lessico politico moderato, che la usa per spingere in avanti le proprie modeste misure di politica e di economia, ma è persino parola del marketing. Due frigoriferi, due televisori, la 600, la casa al mare; ma non a tutti passa la ‘solenne incazzatura’, quella di Luciano Bianciardi.

Del resto la rabbia, quella fa ancora paura, perché la rabbia e l’odio trasmettono un sentore di irrazionalità, di naturalità: la rabbia ‘scoppia’ come il temporale. Non restano che le virtù dell’umiltà, della continenza. Se la modernità, o l’illuministica maggiore età, è l’autonomia, ovvero il progetto di debellare l’eteronomia, in realtà scopriamo che il progetto segreto della modernità è la sostituzione dell’eteronomia con una sorta di eteronomia in interiore homine. Marx diceva che Lutero aveva tolto i preti dalle vie per installare un prete nel cuore di ognuno. L’indicatore infallibile della ricchezza delle nazioni è “il grado di rispetto e di civiltà che esiste nelle relazioni tra operai e padroni”, recitavano i galatei per le classi popolari circolanti nell’Ottocento. La rabbia bestiale va controllata.

Eppure Pier Paolo Pasolini, che sulla rabbia fece un film diviso in due parti, una da diretta da lui, l’altra da Giovannino Guareschi (La rabbia, 1963), diceva che esiste una rabbia fredda, un distacco scientifico: la rabbia di Socrate. Incalzato da Giorgio Bocca in un’intervista per Il Giorno sulla differenza tra rivoluzionari e arrabbiati, Pasolini disse che “il rivoluzionario dopo aver distrutto la società costituita eccede nella ricostruzione, ci riporta anche il moralismo e il perbenismo borghesi, al punto che l’arrabbiato, a volte, incide più profondamente del rivoluzionario”. Pasolini, dice Bocca: “Cinquanta chili di una rabbia che è solitudine, amore, timidezza, incontinenza, paura, genio”. Egli è non solo l’autore della trenodia del mondo che fu e della bellezza sfuggita, è anche l’autore della rabbiosa furia poetica. Non quella rabbia piccolo-borghese, ma una rabbia che possa costruire. Dice Loach al Guardian: “La spinta dietro Syriza, Podemos, Bernie Sanders negli Stati Uniti, e Jeremy Corbyn è per un altro mondo possibile”. E in un’intervista all’Espresso rincara: “Le persone al potere oggi sono i nostri nemici giurati e dobbiamo domandarci cosa possiamo fare per contrastarli”.

Ecco, forse iniziare raccontando la rabbia.