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Russia, l’Italia agli ordini della Nato. No ai soldati in Lettonia

Mio zio Elia Marcelli, che Tullio De Mauro ebbe a definire il più grande poeta romanesco contemporaneo, descrisse nel suo capolavoro Li Romani in Russia, in 1200 strofe di otto endecasillabi ciascuna, la straziante esperienza di cui fu protagonista con molti altri giovani italiani spediti in Russia a morire dal regime fascista con la criminale spedizione dell’Armir affiancando le orde genocide hitleriane.

Una tragica esperienza che oggi viene riportata alla ribalta dall’inconsulta decisione del governo Renzi di mandare 140 soldati al confine fra Russia e Lettonia. Neanche i peggiori governi democristiani erano mai arrivati a tali livelli di servilismo atlantico. Un prezzo che tutti noi dovremo pagare, oltre che alla mancanza di memoria storica di Renzi e della sua schiera di “nuovisti” privi di radici storiche e culturali, alla sua naturale propensione di svolgere senza alcuna remora il ruolo che più gli si addice, quello di esecutore fedele degli ordini dei poteri forti, in questo caso la Nato.

Nato che, fallito definitivamente il tentativo di ricolonizzare la Russia, destinandola a un ruolo subalterno e trasformandola in terreno di conquista per spregiudicati investitori occidentali e multinazionali finanziarie, sta da tempo agitando lo spauracchio del ritorno dell’Urss per giustificare il proprio riarmo senza precedenti. Del resto è noto come il capitalismo porti la guerra come suo risultato naturale. Piuttosto che rispettare la sovranità altrui e accettare quindi forme di multilateralismo effettivo nella gestione dei problemi internazionali meglio puntare sull’utilizzo dello strumento bellico, l’unico che comporti ancora, sia pure entro limiti tutti da verificare, la superiorità dell’Occidente sul resto del mondo.

Ci sono due possibili opzioni. O il disarmo, unilaterale o bilanciato che sia, o l’aumento delle spese militari per puntellare il proprio potere sempre più traballante. La seconda è la scelta che con sempre maggiore nettezza hanno compiuto Stati Uniti e Nato. Da questo punto di vista l’amministrazione Obama non ha per nulla rappresentato un’inversione di rotta rispetto a quelle precedenti. Anche se ha dovuto prendere atto del fallimento delle guerre d’aggressione dell’era Bush, ha tenuto fermo un programma di riarmo generalizzato.

Il risultato è che enormi risorse che potrebbero essere destinate alla soluzione dei gravi problemi dell’umanità in tutta una serie di settori di importanza strategica, dall’ambiente all’alimentazione, dalla salute all’educazione, vengono invece utilizzate per produrre sistemi di morte sempre più sofisticati. Tanto più in un momento di acuta crisi fiscale come quello che stiamo vivendo, mentre si prospetta una nuova crisi economica globale che sarà ancora più devastante di quella del 2008. Anziché rimuovere le cause di fondo della crisi, debellando il potere eccessivo della finanza parassitaria, i governi occidentali si preparano a nuove guerre sotto l’egida della Nato.

Sarebbe invece oggi più che mai necessaria una politica di disarmo, distensione e dialogo effettivo con i giganti dell’Est, Russia e Cina. Cattivi rapporti con la Russia, in particolare, significano un costo immediato per la nostra economia, dati i rapporti di cooperazione economica proficua che esistono in vari settori. Determinati aspetti del governo di Putin possono non piacere, ma è evidente che la politica delle provocazioni e dell’accerchiamento militare impedisce processi di rinnovamento democratico sia ad Est che ad Ovest.

Davvero Renzi ritiene che i buoni rapporti possano essere mantenuti spedendo un sia pur ridotto contingente militare alla frontiera russa? Non sembra davvero, anche ascoltando le sue battute un po’ demenziali, che costui si renda conto fino in fondo della portata delle scelte che compie per soddisfare i desiderata della Nato.

Quest’ultima, come ho affermato nel mio intervento al congresso tenuto a Varsavia dal Consiglio mondiale della pace, è sempre stata in contrasto con la lettera e lo spirito della Carta delle Nazioni Unite (oltre che della nostra Costituzione). Ma è indubbio che negli ultimi venticinque anni circa abbia accentuato la sua antigiuridicità.

E’ tempo pertanto per l’Italia di abbandonarla, dando vita a una politica estera autonoma che sia effettivamente espressione degli interessi dell’Italia e dei suoi cittadini e non di quelli delle potenze straniere, politica estera autonoma giustamente reclamata dal capogruppo in Commissione esteri del Movimento Cinque Stelle, Manlio Di Stefano, in un bell’intervento tenuto sabato al Convegno di studi La via cinese e il contesto internazionale promosso dalla rivista Marx XXI e dall’Accademia cinese di scienze sociali.