Musica

Di come ascoltare la radio tutto il giorno sia una nuova forma di spietata tortura

Cosa succede a fare zapping tra le radio italiane per una giornata intera?

Il concetto di espiazione è tipicamente delle culture cattoliche, figlio dell’ancor più caratterizzante concetto di colpa. Conoscete il meccanismo: siamo esseri umani fallaci, commettiamo errori, per riparare a queste colpe arriva l’espiazione. Ora, non so esattamente quali colpe abbiano portati a un simile carico di espiazione, ma ho fatto un esperimento e ho passato una giornata facendo zapping per le radio nazionali. Arrivato di sera credo che potrei serenamente entrare in una chiesa bestemmiando dopo aver picchiato bambini e torturato animali sicuro di essere ancora in credito con Nostro Signore.

Perché passare il tempo ascoltando radio, in Italia, è davvero una pena estrema, di quelle che, fosse ancora vivo Dante, affibbierebbe a peccatori particolarmente odiosi, tipo gli ignavi o gli incestuosi. Andiamo con ordine. Cosa si intende per radio nazionali. Non voglio fingere di essere stato lì a sintonizzare solo i principali network sul mio apparecchio radiofonico, perché va bene sottoporsi a supplizi indicibili, ma farlo pure dopo aver perso tempo prezioso a smanettare con un apparecchio che, altrimenti, se ne sta giustamente spento e riposto in apposito scaffale mi sembra troppo. Quindi mi sono limitato a fare zapping tra i canali che si ricevono a Milano, nel quartiere dove io abito, canali che comprendono tutte le principali radio nazionali, più uno sparuto numero di radio il cui nome, viva Dio, ignoravo fino a oggi e che, voglia Dio, spero di dimenticare già a partire da domani.

Il mio zapping è stato, inizialmente, una sorta di strategia della fuga. Mi spiego, siccome la musica che ascoltavo era tutta catalogabile come orribile, continuavo a correre da una frequenza all’altra, sperando in un miracolo. Miracolo che però non arrivava, tranne un raro momento in cui vai a sapere chi ha passato Hotel California degli Eagles. Per cui, dopo circa un’ora di fuga scomposta mi sono arreso, e ho deciso di essere più pragmatico e in qualche modo fedele al mio autoimposto ruolo di esploratore dell’etere. Perché questa, in fondo, era l’idea: fare un reportage su quel che succede quotidianamente in radio, a partire ovviamente dalla musica. E di musica, in effetti, in radio ne passa, ma molto meno di quel che pensavo (o speravo). Diciamo che a grandi linee che le canzoni che passano sono sempre le stesse, come se una forza superiore, di quelle che non si dovrebbero neanche rappresentare con una parola, troppo potenti e altissime da poter essere intrappolate in un nome, avesse deciso per una selezione naturale, voi sì e tutte le altre no. Il problema è che questa forza naturale, salvo rarissime eccezioni, ha deciso di andare in culo a Darwin, lasciando passare lo strettissimo setaccio solo al peggio del peggio.

Attenzione, non scambiate queste parole come frutto dell’atteggiamento snob di chi guarda a tutto ciò che riscuote un certo successo, per dirla con una parola tanto idiota quanto quel che dovrebbe rappresentare, commerciale, ma proprio come il trasparente giudizio che non si può che decretare dopo aver passato ore e ore a sentire sempre la solita brutta musica. Qualche titolo? Ve li faccio solo nella speranza che voi, appunto, non ascoltiate la radio, e che quindi in qualche maniera ne siate salvi. Perché, ma qui scivoleremmo in un altro territorio, che non voglio né posso esplorare oggi, è evidente che oggi le radio nazionali si stiano tutte contaminando tra loro, lasciando che anche le oasi di bellezza in qualche modo siano corrotte dalle vaste praterie del brutto. Qualche titolo, si diceva. Quella che mi è capitata di ascoltare più spesso, e qui giustamente vi farete di me l’immagine di un peccatore davvero imperdonabile, è G come Giungla di Ligabue. Alla faccia del fatto che le radio italiane privilegiano le canzoni straniere, concetto spesso usato come cavallo di battaglia da chi vorrebbe anche in Italia una regolamentazione alla francese, che impone un tot di canzoni nazionali ogni tot di canzoni straniere. A seguire, va detto, la bella Lost on you di LP, che di origine è sì italiana, ma americana di nascita e anche musicalmente parlando. E’ solo l’inizio di un viaggio nel brutto che è proseguito tra ascolti multipli di gente come Alvaro Soler, passatissimo sia in solitario, con Sofia, che in coppia con Emma, poi Elisa, con la sua Bruciare per te, Raphael Gualazzi con la cover di Con un deca degli 883, stranamente intitolata L’estate di John Wayne, e Perfect Illusion di Lady Gaga, ai miei orecchi unico momento di beatitudine in una giornata da dimenticare, e i Major Lazer di Cold Water, bella canzone, ma minore, e poi Unici di Nek, Used to You di Annalisa, Tra di noi dei Tiromancino, e Combattente di Fiorella Mannoia. Ogni tanto, random, Jovanotti, con Ragazza magica ma anche con L’estate addosso, e altra robaccia.

E già ce ne sarebbe abbastanza per porre fine alla propria esistenza senza rimpianti né rimorsi. Invece, e qui viene forse la parte peggiore, la radio italiana non è fatta solo di brutta musica, ma anche di brutte parole. Perché, vai a capire per colpa di chi, probabilmente di Linus e di Radio Deejay che ha lanciato la moda, la radio è fatta molto anche di gente che parla. Gente con belle voci, va detto, ma che dice una immensità di cazzate. Capisco che riempire una, due, tre ore di programma sia operazione complicata. Capisco che ci dovrebbero essere decine di autori per ogni programma, gente capace non solo di sfogliare i blog e i siti più importanti, ma magari di produrre uno straccio di idea originale una volta ogni tanto. Capisco anche che se ti capita un ospite, ed è lo stesso ospite che si sta facendo il giro di tutte le radio, probabilmente fagli dire qualcosa di originale sarà più complicato che far uscire un pensiero di senso compiuto dalla testa dell’onorevole Gasparri. Capisco tutto, ma Benedetto Iddio, se a fare da interpunzione tra una canzone dei Modà, fortunatamente passati solo da una radio, Rtl 102.5, seppur con frequenza oraria, e una di Raige, non c’è altro che una serie di parole vacue, dette da voci compiaciute che ripropongono la versione orale dei social, cioè parlano della notizia del giorno senza nulla di originale aggiungere, forse sarebbe il caso di rilanciare il caro vecchio segnale muto delle televisioni, quello che andava di notte negli anni Settanta, prima della ripresa delle trasmissioni la mattina. Cioè, ok, oggi è uscita la notizia che Tiziano Ferro farà un tour negli stadi nel 2017, figlio del lancio del suo nuovo album, in uscita a inizio dicembre, ma non è che me lo potete dire in tutte le radio, in tutti i programmi, per tutto il giorno. Lo avete detto alle 10 di mattina, bene, lo abbiamo capito, grazie, passiamo a altro. Anche perché, suvvia, tutti abbiamo uno smartphone, lo sapevamo anche prima di voi. Idem per il nuovo singolo di Benji & Fede, il cui titolo non vi ripropongo per un senso di amorevole affetto nei vostri confronti. Ok, è uscito, ma non è che se mi ripetete ossessivamente che lunedì uscirà anche il nuovo video mi state fornendo una notizia di prima necessità. Anzi, visto che siete delle radio, io eviterei di parlare di video, perché, in qualche modo, vi state pure dando la zappa sui piedi.

Poi, anche qui, ci sono sacche di ossigeno in mezzo ai miasmi. Se capitate su Virgin Radio, per dire, seppur con un palinsesto che si sta un po’ sporcando, troverete roba decente. Idem su Radio Montecarlo e su Capital Radio. Ma nell’insieme quel che resta, dopo una giornata di ascolti random, è una sensazione davvero brutta sulla pelle. Una sola notazione positiva, in mezzo a notizie di cui non ci interessa niente e a canzoni che fanno letteralmente cagare, non mi è capitato neanche una volta di sentire Andiamo a comandare di Rovazzi. Neanche per sbaglio. Chiaro, fra un po’ uscirà il nuovo singolo e la festa finirà, ma la speranza è che nel mentre arrivino gli alieni, o la peste o un asteroide, tanto le nostre colpe le abbiamo espiate e finiremo dritti in Paradiso.