Politica

Roma, Grillo: “Qualche cazzata la facciamo anche noi”. Di Maio fa autocritica: “Ho sottovalutato l’indagine”

Sul palco di Nettuno paga il vicepresidente della Camera: "Ho commesso un errore, ho sottovalutato quella email". Il leader riunisce il Movimento, ammette qualche errore, rispolvera le vecchie armi del "Vaffa". La Ruocco unica del direttorio a non parlare

Paga Di Maio. Poco, per tutti. Un po’ di cenere sulla sua testa: “Ho commesso un errore, ho sottovalutato quella email”. Un po’ di cenere sulla testa di tutti: “Abbiamo fatto alcune stronzate in buona fede” ammette Di Battista. “Qualche cazzata, qualche cazzatina, la facciamo anche noi…” dice anche Beppe Grillo che per l’occasione, nel momento più difficile del Movimento Cinque Stelle, rispolvera il vecchio arnese del “vaffanculo” – al sistema, alla vecchia politica, ai poteri incrostati – che tanti successi ha portato.

Dopo due giorni di riunioni lunghe come conclavi, il M5s sembra essere tornato unito, anche se il sindaco di Roma Virginia Raggi non si unisce al leader e al direttorio nella manifestazione di Nettuno. E poi parlano tutti dal palco – Grillo, Di Maio, Sibilia, Fico, Di Battista – e non Carla Ruocco, l’unica donna del direttorio, descritta per giorni da tutte le fonti giornalistiche come la più delusa dal caos della giunta del Campidoglio, quella che si è infuriata per la gestione del caso Minenna-Raineri, che è stata la prima a scrivere di non sapere nulla quando la Raggi – durante la commissione d’inchiesta sulle ecomafie – ha risposto di aver comunicato ai vertici del M5s che il suo assessore all’Ambiente era indagato. Che è rimasta a bocca aperta – raccontano le agenzie di stampa – quando ha scoperto che, sì, Di Maio sapeva da un mese, ma non aveva capito. Video di Irene Buscemi e Mauro Episcopo

Ma i Cinquestelle usano il palco di Nettuno come se fosse l’elastico di un ring, per trovare nuova energia, lanciarsi di nuovo verso l’avversario e ricominciare il combattimento. Di Maio accetta di abbassare la testa e ammettere quello che i giornali hanno scritto: “Ho commesso un errore. Ho sottovalutato il contenuto della mail che mi era stata inviata. Non l’ho detto a Roberto, Carla, Carlo, Alessandro, l’ho sottovalutata e sono qui a dirvelo negli occhi”. Il vicepresidente della Camera e membro del direttorio non pronuncia la parola “scuse”: anzi, sembra che voglia sbrigare la pratica nel tempo più breve possibile, non si sofferma in molte spiegazioni sul perché dal 5 agosto ad oggi abbia tenuto per sé (per sé solo) la notizia dell’assessore sotto inchiesta. “Devo delle spiegazioni al popolo M5s e a quelli che ci hanno sempre sostenuto” ha spiegato Di Maio. “Pensavo – continua – che l’accusa venisse da un manager del Pd, questo è quello che pensavo. E questa sera sono a dirvi che ho commesso un errore senza intermediari”. E quando ha visto che i giornali parlavano della Muraro indagata “non ho ricollegato che la storia fosse quella di cui sapevo”. Di Maio sottolinea – un po’ sposando la linea Raggi – che l’ipotesi di reato contestata alla Muraro potrebbe essere “punito anche con una multa, ma noi adesso non abbiamo le carte per saperlo”. Da qui può cominciare a ribaltare il discorso, passa dall’atteggiamento passivo – quasi inedito – a quello aggressivo, al quale il M5s è un po’ più abituato. “Ma quando c’è stata Mafia Capitale dov’erano i giornalisti? Ora sono tutti diventati degli Sherlock Holmes“. 

Se ci si ferma ai dati di fatto Virginia Raggi forse esce quasi intatta, di certo non esautorata: l’assessore Paola Muraro – nonostante abbia negato di essere indagata – resta dov’è, l’assessore Raffaele De Dominicis – “reo” di essere stato segnalato dall’avvocato Sammarco – pure, al capo-segreteria Salvatore Romeo – forse – tagliano un po’ lo stipendio. L’unico a pagare è Raffaele Marra, il vice-capo di gabinetto indicato come perno del cosiddetto “raggio magico”, descritto dal suo ex capo – il magistrato Carla Raineri – come quello al quale il sindaco “faceva gestire tutto”. Marra è un dipendente del Campidoglio e quindi sarà spostato a dirigere l’ufficio Commercio. Ma di tutto questo non parla nessuno dei Cinquestelle, né al Campidoglio né a Nettuno.

Il sindaco parla solo tramite un post su facebook con il quale si limita a dire più o meno che sulla Muraro decidono i pm e non i giornali e che lei ha le spalle larghe. Ma la Raggi sul palco di Nettuno non sale, come se non fosse questa la serata giusta per affrontare di nuovo “la gente”. E la conseguenza è che con i vertici nazionali non condivide appieno il rito un po’ sgradevole dell’ammissione di qualche colpa, ma nemmeno il bagno di folla purificatore. Del merito non parla neanche nessuno del direttorio né Grillo. Salvo un avvertimento che vale più di due ore di qualunque discorso: “Raggi andrà avanti e noi vigileremo” scandisce Grillo. Vigileremo: esautorata no, ma sotto sorveglianza. “Vigileremo che rispetti il nostro programma“. 

Ancora una volta uno vale uno, dunque, ma per il passo di lato forse era un po’ troppo presto (e quanto manca Gianroberto Casaleggio). Grillo appare indispensabile per sedare gli attacchi di panico, riordinare la gestione balbuziente delle emergenze, in generale indicare la linea senza perdersi per strada, fosse anche per ammettere un errore, o due, o tre. La folla esplode quando lui compare sul palco. Sembra un’aspirina dopo aver avuto mal di testa per una settimana – le 5 dimissioni in un giorno, poi l’assessore in quota Sammarco e poi Muraro indagata – e Grillo sembra saperlo. Ammette: “E’ stata una giornata difficile“. Ma rilancia: “Sono leggermente euforico”. Dice quello che i militanti-elettori pensano, in gran parte: “La reazione di questo sistema a noi è una cosa bellissima”. Li fa ridere, scioglie la tensione: “Mi aspettavo anche di più, mi aspettavo un avviso di garanzia per me, 5 chili di cocaina nella macchina, che scoprissero finalmente che lui è omosessuale e non ci sarebbe niente di male”. “C’è un sistema – ribadisce – che reagisce compatto contro di noi, siamo tornati a due anni fa quando dicevano che il M5S è morto”. Galvanizza il pubblico, paragona la Raggi al primo sindaco nero degli Stati Uniti (Richard Hatcher, Gary, Indiana): “Sembrava impossibile e noi siamo l’impossibile”. Insomma i poteri di forti non li nomina, ma è come se: “Stiamo sfondando un sistema che era in piedi da 50 anni, che ci crediate o no. Noi perdoniamo questa gente, che purtroppo sa quello che fa… Andate a fanculo tutti quanti“. 

L’ammissione di essere fallibili, accanto all’orgoglio di essere uniti: contro la storia dell’ultima settimana di tensioni interne, contro i retroscena dei giornali che raccontano di correnti pro e contro qualcosa. Fallibili ma orgogliosi, compatti, pronti a combattere daccapo. “Nella nostra storia – grida Roberto Fico dal palco – abbiamo avuto passaggi difficili ma li abbiamo sempre superati ed ecco perché nel 2016 facciamo ancora paura al sistema. Anche questa volta supereremo questo momento”. Poco prima Carlo Sibilia, altro membro del direttorio, prova perfino a prendere la cimosa e cancellare la mezz’ora precedente: “Questa non è la serata delle giustificazioni, è la serata dell’orgoglio“.

La scena alla fine è tutta per Alessandro Di Battista che racconta il suo Coast to coast sulla Costituzione e intanto tratteggia quello che definisce il “Paese reale”, con le sue “difficoltà”, “non quello che racconta Renzi”. Anche lui si unisce al coro dei mea culpa: “Noi qualche errore lo abbiamo fatto – ammette anche Di Battista – ma sempre in buona fede. Se avessero adottato gli stessi parametri usati con noi anche con gli altri ora l’Italia sarebbe più pulita”. Invece i giornali – è sempre colpa dei giornali – “hanno oscurato il sisma per parlare di noi”. Di Battista detta la linea alla Raggi, da lontano: “Un enorme no, secco e chiaro, alle Olimpiadi farà tremare il potere”. “I palazzinari vogliono mettere le mani sulle Olimpiadi – continua – Caltagirone, il proprietario del Messaggero, si sente padrone di Roma assieme a Malagò e Montezemolo. E noi dovremmo far fare a loro le Olimpiadi?”. Conclude con “Viva l’Italia, viva il popolo sovrano”, la folla è una sola voce, come a un concerto. “Dibba, Dibba” gridano. Beppe Grillo lo prende per la testa, è caricato a mille, lo abbraccia, lo “regala” agli applausi. Luigi Di Maio, almeno questa sera e per la prima volta, resta un passo indietro.