Società

Fertility Day, la difficoltà di partorire idee dotate di senso

“La vera ansia di prestazione dell’uomo moderno non è sessuale, ma genitoriale”, ha scritto Diego De Silva nel suo romanzo ‘Terapia di coppia per amanti’.

E’ da qualche giorno che le polemiche sul Fertility Day imperversano su social e notiziari. Su questo bizzarro evento (siamo gentili, ognuno ha il potenziale espressivo che si ritrova, accanirsi sì, ma con moderazione) molto è stato detto e scritto e molto sarà ancora da dire e scrivere fino al 22 settembre, giorno scelto per celebrare la frequente difficoltà umana a procreare idee dotate di senso. Se dicessi che la nostra classe politica mi ha sorpreso, mentirei: rimane sempre tutto abbastanza in linea con quanto, in passato, abbiamo visto e vissuto su tantissime altre tematiche e sono certo che il futuro non ci deluderà nel merito e ci regalerà nuove polemiche con cui trastullarci.

Non è semplice scrivere al riguardo qualcosa che non sia una ripetizione di giuste cose già evidenziate, dalla difesa di chi un figlio non lo vuole agli innumerevoli problemi pratici a cui i genitori devono far fronte per farlo crescere, dopo averlo messo al mondo. Scelte e difficoltà di cui il Fertility Day si fa paradossalmente portavoce proprio grazie alla mancanza di attenzione che vi pone. Non è quindi un completo danno questa giornata, che, se nata sotto altre finalità, sta in realtà evidenziando tutto quello che non va. Forse è proprio il caso di dire che non tutto il male viene per nuocere. L’effetto boomerang della campagna, non previsto dagli ideatori, mette il dito nella piaga, la quale brucia, ma almeno ci ricorda che esiste, fa male e andrebbe curata. Dal polemizzare al far cambiare le cose, il passo è lungo.Se non proprio una vera corsa ad ostacoli, la sana rabbia delle persone, se non si converte in azione costruttiva, è destinata ad esaurirsi appena uscirà una nuova applicazione, un nuovo evento, un’altra disputa. Qualche manifestazione di piazza e sui social e poi tutti a casa sedati e contenti.

Il problema è trovare azioni concrete in grado di rendere feconde le polemiche sul Fertility Day. Questa è l’aporia del nostro sistema: lamentarsi, condannare, polemizzare, ma fondamentalmente nulla cambia, al massimo gli si dà una rinfrescata. Necessariamente tutto deve passare sul piano politico, a meno di non voler fare la rivoluzione che non sia solo di intenti e belle parole, e qui tutto si blocca e si è sempre bloccato perché, se con le belle parole e i buoni intenti, noi facciamo la rivolta virtuale, i nostri politici con le stesse ci fanno il lavaggio del cervello reale.

Io, ad essere sincero, dell’istituzione di tutti questi “day” sarei anche un po’ stufo: sembrano solo dividerci, separarci in schieramenti. Non risolviamo più le cose a tarallucci e vino, ma a istituzione di day e post sui social. E questo lo scrivo non mettendo in dubbio le buone intenzioni che animano molte persone, ma sembriamo essere andati in loop.

Per essere un buon genitore condizione necessaria, ma non sufficiente, è volerlo un figlio, anche se questo non dà una garanzia di una buona genitorialità. Nello stesso tempo, un figlio può arrivare non previsto e non voluto, ma questo non dà garanzia di una cattiva genitorialità.

Sia chi è genitore, sia chi non lo è e vorrebbe diventarlo, sia chi lo è e non avrebbe voluto, ha dovuto o deve inevitabilmente relazionarsi con il desiderio di genitorialità, il quale si deve scontrare con la concreta possibilità di crescere al meglio i propri figli e, se questa manca, quella che dovrebbe essere una libera scelta diventa una forzata rinuncia, un’imposizione, una costrizione, una violenza.

Un figlio non è solo un piacere, comporta delle responsabilità singole e collettive, perché quel bambino diventerà grande e si staccherà dai suoi genitori, andrà a scuola, troverà un lavoro, potrebbe procreare a sua volta, sarà col tempo sempre meno in grado di badare a se stesso. I figli invecchiano, proprio come i genitori. Per loro si spera sempre qualcosa in più, ma, a quanto pare, quello che stiamo ottenendo è sempre qualcosa in meno.

Vignetta di Pietro Vanessi