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Siria, “Umido, sangue e sudore”: l’odore della tortura nelle prigioni

Di padre in figlio, in Siria la tortura costituisce da decenni uno degli strumenti di potere e di terrore della famiglia Assad.

I luoghi dove si pratica sono sempre gli stessi: le strutture detentive dei vari servizi di sicurezza e la famigerata prigione militare di Saydnaya, alla periferia della capitale Damasco. Uguali anche gli obiettivi: ottenere “confessioni” o informazioni su altre persone, incutere terrore, punire, uccidere.

Anche le tecniche sono rimaste pressoché identiche: haflet al-istiqbal (“festa di benvenuto”: duri pestaggi, spesso con spranghe di silicone o di metallo e cavi elettrici); dulab (“pneumatico”: il corpo del detenuto viene contorto fino a farlo entrare in uno pneumatico da camion, poi via ai pestaggi); falaqa (“bastonatura”: il classico pestaggio sulle piante dei piedi); shabeh (“impiccato”: il detenuto viene tenuto appeso per i polsi per parecchie ore, coi piedi nel vuoto, e picchiato ripetutamente); bisat al-rih (“tappeto volante”: la vittima è legata a una struttura pieghevole, la cui parte inferiore viene pressata su quella superiore).

Poi ci sono gli stupri, le scariche elettriche, i getti d’acqua bollente e le bruciature con le sigarette.

Ma se nei decenni precedenti il 2011 Amnesty International aveva riscontrato una media di 45 decessi in carcere all’anno, ossia tre o quattro al mese, dall’inizio della crisi – ossia negli ultimi cinque anni – la media si è quasi centuplicata.

Secondo dati forniti ad Amnesty International dal Gruppo di analisi sui dati relativi ai diritti umani (Hrdag), un’organizzazione che usa un approccio scientifico per monitorare le violazioni dei diritti umani, tra marzo 2011 e dicembre 2015 nelle prigioni siriane sarebbero morte 17.723 persone, oltre 300 al mese.

Prima che vi chiediate, o commentiate, da dove e come salta fuori questa cifra, suggerisco di leggere il documento trasmesso dall’Hrdag ad Amnesty International.

Si tratta, in ogni caso, di stime prudenti. Secondo l’Hrdag e Amnesty International, considerando le decine di migliaia di persone sottoposte a sparizione forzata nei centri di detenzione di tutta la Siria, il numero reale delle vittime è probabilmente più alto.

I racconti della tortura derivano invece da interviste individuali fatte da Amnesty International a 65 sopravvissuti (54 uomini e 11 donne), tutti attualmente all’estero. Uno di loro ha realizzato anche una serie di disegni molto eloquenti.

Da questi racconti, emergono anche le agghiaccianti e inumane condizioni di detenzione. Gli ex detenuti hanno raccontato che l’accesso al cibo, all’acqua e ai servizi igienico-sanitari viene spesso limitato. La maggior parte di loro ha riferito di non aver mai potuto lavarsi adeguatamente. In questo ambiente scabbia, pidocchi e altre infezioni proliferano. Poiché alla maggior parte dei detenuti vengono negate cure mediche adeguate, in molti casi i detenuti ricorrono a medicamenti rudimentali, ciò che ha contribuito al drammatico aumento dei decessi in carcere dal 2011. La maggior parte dei sopravvissuti alla tortura ha riferito di aver assistito alla morte di compagni di prigionia e alcuni hanno raccontato di essere stati tenuti in celle insieme a cadaveri.

“Ziad” (il nome è stato cambiato per proteggere la sua identità) ha denunciato che un giorno, nella sezione 235 dei servizi di sicurezza militari di Damasco, l’impianto di aerazione si è rotto e sette detenuti sono morti soffocati.

“Ci prendevano a calci per vedere chi era morto e chi no. Ad alcuni di noi hanno ordinato di alzarci in piedi. In quel momento mi sono reso conto che c’erano sette morti, che avevo dormito insieme a sette cadaveri. Poi nel corridoio ho visto gli altri, circa 25 cadaveri”.

I detenuti spesso trascorrono mesi se non anni nelle strutture detentive dei vari servizi di sicurezza siriani. Alcuni alla fine vengono portati di fronte a un tribunale militare, che li condanna nel giro di qualche minuto, per poi essere trasferiti nel carcere militare di Saydnaya, dove le condizioni sono particolarmente atroci. A Saydnaya, inizialmente, i prigionieri vengono tenuti per alcune settimane in celle sotterranee, dove d’inverno si gela, senza nulla per coprirsi. In seguito vengono portati nelle sezioni ai livelli superiori. Per non morire di fame, i detenuti cui viene negato il cibo si nutrono con bucce d’arancia e noccioli di olive. Non possono parlare né rivolgere lo sguardo alle guardie, che regolarmente li scherniscono e li umiliano solo per il gusto di farlo.

“[Nelle strutture dei servizi di sicurezza] ti torturano per farti ‘confessare’. A Saydnaya, l’obiettivo è la morte, una sorta di selezione naturale per liberarsi dei più deboli appena vengono trasferiti lì” – ha dichiarato Omar S., un ex detenuto.

Sempre Omar S. ha raccontato di una volta in cui una guardia ha obbligato due uomini a denudarsi e poi ha obbligato uno a stuprare l’altro, minacciandolo di morte se non l’avesse fatto.

Salam, un avvocato di Aleppo che a Saydnaya ha trascorso due anni, ha descritto l’odore della tortura:

“Quando mi hanno portato dentro la prigione, ho sentito l’odore della tortura: un odore specifico, un misto di umidità, sangue e sudore. Lo riconosci: è l’odore della tortura”.

Salam ha poi ricordato un caso in cui le guardie hanno ucciso un istruttore di arti marziali dopo aver scoperto che allenava i compagni di cella:

“Hanno picchiato a morte l’istruttore e altri cinque detenuti, poi hanno proseguito con gli altri 14. Nel giro di una settimana erano tutti morti. Vedevamo il sangue scorrere via dalla cella”.

Ma forse queste testimonianze scritte non sono ancora sufficienti. Vi invito a “visitare” SaydnayaGrazie all’unione tra memoria e tecnologia tridimensionale e alla collaborazione di un team di specialisti di Architettura forense, è possibile farsi un’idea del terrore quotidiano vissuto all’interno di quella prigione.

La maggior parte dei sopravvissuti alla tortura è stata annichilita, fisicamente e psicologicamente, dall’incubo attraverso cui è passata. Molti di loro sono fuggiti all’estero dopo il rilascio e fanno parte degli oltre 11 milioni di siriani costretti a lasciare le loro case.

Tra pochi giorni riprendono i negoziati di pace sulla Siria. Il tema della tortura deve far parte dell’agenda dei lavori.

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