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Siria, Omran è il volto dell’indignazione a rate dell’opinione pubblica

Omran si tocca il viso, incredulo. Ha cinque anni e forse non ha capito cosa è successo. E’ stato estratto dalle macerie di casa sua, ad Aleppo, distrutta da un ennesimo bombardamento aereo russo, uno di quei bombardamenti che qui, in Europa, in Italia, non vogliamo vedere, né condannare. Aleppo, la Siria intera, è il metro della schizofrenia occidentale: non si vede altro che l’Isis, si invoca il rispetto dei diritti umani ma si sta silenti su tutto. Si ha paura, qui, in Europa, di condannare i bombardamenti aerei che mietono più vittime del fondamentalismo; che distruggono ospedali, infrastrutture e… vite. Si ha paura – perché non bisogna schierarsi sui giornali o si perde di oggettività – di condannare i russi, il governo siriano per crimini contro l’umanità.

Con il suo sguardo incredulo, spaesato, che riassume l’abbandono e l’incomprensione che assediano i siriani, schiacciati da un regime brutale e da un fondamentalismo che si nutre di questa repressione, Omran è il simbolo dell’impunità: chiunque tu sia, puoi bombardare ospedali, usare le armi chimiche, fare fosse comuni e compiere pulizia confessionale o etnica ma sei consapevole che nessuno ti punirà, non verrai chiamato in giudizio da nessun tribunale. La Siria è diventata, suo malgrado, il simbolo del fallimento del mondo. “L’umanità – dichiarava in una conversazione telefonica Assad Younes, un giovane aleppino che ho intervistato settimana scorsa – è finita ad Aleppo”.

In ordine di tempo, Omran è l’ultimo bambino che risveglia l’indignazione a rate dell’opinione pubblica. Era cominciato tutto con Hamza ali Al Khateeb, torturato, evirato e infine ucciso nel maggio 2011. La Clinton e altri leader, che oggi hanno fatto un cambio di rotta clamoroso sulla Siria, dichiararono che “Assad doveva andarsene”. Poi, venne la strage di bambini di Houla, tagliati a pezzi dalle milizie fedeli al governo siriano. E ancora, Houda, la bambina che alzava le mani al cielo scambiando la macchina fotografica per un’arma; Aylan, il bambino morto fotografato su una spiaggia che cambiò, per un momento, le politiche dell’accoglienza per i siriani.

Ora è il turno di Omran, e ci chiediamo se questo bambino, il suo sguardo, può destare l’attenzione sul dramma di Aleppo, facendo sì che venga alla luce l’enorme tragedia che sta avvenendo in Siria, una tragedia che viene coperta dal clamore dell’Isis, dai curdi – diventati nuovi eroi per una sinistra, anche italiana, incapace di guardare al Medioriente nella sua complessità.

Ma Omran è anche il simbolo di un giornalismo che cerca il sensazionalismo per parlare di un tema: c’è bisogno di un fatto clamoroso, come la foto di un bambino sopravvissuto alla morte, per riaccendere i riflettori su una catastrofe che dovrebbe essere raccontata ogni giorno perché è il centro di tante questioni che toccano le nostre società. Sui giornali, dovremmo parlare continuamente della Siria, quella oltre il fondamentalismo e il regime, perché ha pagato mezzo milione di morti e undici milioni di sfollati esterni e interni. Dovremmo far sì che la voce dei siriani, quelli a Aleppo o Idlib, emerga nel marasma di cose dette su di loro ma senza di loro.

Ma, consapevole che così non sarà e che lo sguardo di Omran, il suo destino, è destinato a spegnersi nei prossimi giorni, sotto un mare di indifferenza e di disimpegno generale, ci rivediamo alla prossima notizia clamorosa: al prossimo bambino siriano che susciterà l’indignazione part-time di qualcuno.