Economia

Crescita, con consumi così fiacchi e investimenti bloccati la ripresina economica è già alle nostre spalle

Nel secondo trimestre è mancata la spinta dell’industria automobilistica (ossia Fiat Chrysler) e le vendite di luglio si sono attestate al livello più basso da due anni e mezzo. Intanto le aziende hanno smesso di sostituire impianti e macchinari usurati, con il risultato che lo stock di capitale si erode di anno in anno. In questo quadro un aumento del pil dell'1% è un miraggio

La ripresina dell’economia italiana rischia di essere già alle ultime battute. L’Istat ha diffuso oggi il dato sul prodotto interno lordo del secondo trimestre dell’anno, che risulta invariato rispetto ai primi tre mesi a fronte di attese che speravano in un piccolo progresso dello 0,2%. Economia ferma, quindi. Ma il dato sul pil guarda al recente passato. Il vero problema è che anche i dati più recenti, compresi quelli che cercano di anticipare i futuri andamenti, sono ormai in territorio negativo. Le esportazioni non tirano più da mesi, i consumi non ripartono, gli investimenti non lo hanno mai fatto e l’industria accusa un inatteso passaggio a vuoto. Quanti indizi servano per comporre una prova è questione spesso opinabile, ma di questo passo la già di per sé non esaltante previsione di un pil 2016 vicino al +1% si trasforma in un miraggio.

Lo scorso 4 agosto la società Markit ha diffuso un dato da allarme rosso, avendo rilevato in luglio una debolezza delle vendite italiane che non si vedeva da due anni e mezzo. Da due mesi l’indice relativo all’Italia rimane inchiodato poco sopra i 40 punti, dove 50 rappresenta lo spartiacque tra una fase di espansione e una di contrazione. Si tratta di un indicatore che tenta di anticipare quelli che saranno gli effettivi andamenti delle vendite al dettaglio dei mesi a venire. Come ha spiegato l’economista Phil Smith, il settore delle commercio al dettaglio italiano sembra essere ripiombato in una fase recessiva che per di più sta colpendo duro anche l’occupazione con un deciso incremento dei licenziamenti. Ovviamente la pressione si fa sentire anche sui guadagni dei rivenditori che appaiono in decisa contrazione. Che le cose stiano andando probabilmente peggio di quanto si pensi emerge anche dal monitoraggio sulle vendite della grande distribuzione effettuato Nielsen. Luglio si è chiuso in negativo dell’1,8% con una frenata particolarmente marcata nell’ultima settimana, che ha interessato tutte le zone del paese. Nei primi sette mesi dell’anno il calo del fatturato complessivo della grande distribuzione sfiora l’1,4%.

In questi mesi una modesta ripresa dei consumi aveva in qualche modo compensato il rallentamento dell’export che risente delle incertezze e dei timori che avvolgono l’economia globale. L’ultimo dato Istat sulle esportazioni, relativo allo scorso giugno, mostra un arretramento dello 0,4% rispetto a maggio e dello 0,5% nel confronto con il giugno 2016. E nella prima metà del 2016 le vendite di prodotti italiani all’estero risultano invariate.

Consumi fiacchi e esportazioni in frenata spiegano solo in parte lo scivolone della produzione industriale che lo scorso giugno ha inanellato il secondo mese consecutivo di segno meno (-0,4% rispetto a maggio e -1% rispetto al giugno 2015). Il secondo trimestre dell’anno si è quindi chiuso per la nostra industria con una flessione dello 0,4% rispetto ai primi tre mesi dell’anno, il peggior calo dall’estate del 2014. Quello che è mancato alla nostra manifattura è la spinta dell’industria automobilistica (ossia Fiat Chrysler), che nei mesi precedenti era stata alla base della mini ripresa produttiva. Difficile che nei prossimi mesi le cose per le quattro ruote possano cambiare in meglio, soprattutto per un gruppo che esporta molto in America latina.

Sul fronte degli investimenti, altra voce che insieme ad esportazioni, consumi e spese della pa compone il prodotto interno lordo, nulla si muove. O se qualcosa si muove lo fa per lo più all’indietro. Come ha ricordato Franco Mostacci su il Fatto Quotidiano, è dal 2011 che le imprese private italiane sostituiscono solo in parte impianti e macchinari che utilizzano e che si usurano. Fino a prima della crisi per ogni 100 euro di capitale da ammortizzare le imprese private creavano più di 120 euro di nuovi investimenti. Oggi questa quota non raggiunge l’85%: in pratica, quindi, lo stock di capitale delle industrie italiane si sta erodendo anno dopo anno.

Ad avvolgere la debole economia italiana c’è infine una blanda deflazione che non sembra voler abbandonare il nostro paese nonostante gli sforzi della Banca centrale europea. In primavera le previsioni di crescita dell’economia italiana erano state ridotte insieme a quelle di quasi tutte le aree del mondo. Nessuno scommette più su un risultato che vada oltre l’1%. Soltanto il governo per ora mantiene invariata la stima dell’1,2% contenuta nel Documento di economia e finanza. A breve è però prevista una nuova limatura da parte di palazzo Chigi.