Società

Nizza, dopo l’attentato l’Europa non tradisca i suoi valori

Il bombardamento di cattive notizie a cui siamo sottoposti rischia di paralizzare le nostre vite, ma non le nostre dita. Che corrono invece veloci sulla tastiera attraverso la quale ci affacciamo al mondo per far udire la nostra voce. Prodigio della tecnologia e, come spesso capita, allo stesso tempo maledizione, tanto più quando quella voce diventa un gigantesco cicaleccio assordante. Tuttavia, come in tutte le piazze, compresa una piazza iperconnessa h24 e sempre sugli schermi dei nostri telefonini come quella dei social network, capita di sentire valutazioni acute e intelligenti e sesquipedali corbellerie. L’imbecillità isterica non è un’esclusiva di facebook o di twitter.

Fatevi un giro sui giornali (cartacei e online), e leggerete con quale sicumera le dita degli editorialisti, chiamati a fare un lavoro ingrato, ovvero commentare cose di cui hanno solo una vaghissima cognizione, battono sui tasti per sciorinare le loro improvvisate valutazioni. Prendete l’attentato di Nizza. Lasciando da parte le interpretazioni di quello che avrebbe avuto in testa l’attentatore (poiché il migliore testimone di ciò è il testimone morto, ovvero l’attentatore stesso), in molti tra i più quotati columnist si sono lanciati nella solita chiamata alle armi dell’occidente contro i barbari alle porte. Non si tratta tuttavia di sola improvvisazione. Non sarebbe plausibile. Mentre costoro parlano dell’aiuto che l’autista di origini marocchine darebbe a Marine Le Pen e alle politiche di chiusura che la destra europea accarezza, offrono il loro personale contributo alla stessa causa.

E così, se le autorità francesi riconoscono che non c’è (ancora) alcun collegamento provato tra l’eccidio di Nizza e il terrorismo islamico, i nostri banditori fanno rullare i tamburi della guerra, evocata apertamente secondo un cliché che ormai si ripete, ciclico, dai fatti dell’11 settembre 2001 in poi. Siamo in guerra, è il ragionamento, e dunque guerrescamente occorre rispondere. Bombardando, invadendo. Boots on the ground è l’eterna fantasia marziale che da Bush padre e dai neoconservatori statunitensi in poi si riverbera sul suolo europeo. Così, se il 14 di luglio, festa della libertà e celebrazione della ragione illuministica, un assassino falcia decine di persone qualcuno – non trovando altri appigli – invoca la nazionalità di origine dell’attentatore per riproporre il frusto schema di una lotta tra oriente e occidente, tra barbarie e civiltà.

E così la ragione muore due volte. La ragione, e anche il diritto e la politica. Poiché dovrebbe essere chiaro a costoro, soprattutto dopo che alcuni dei protagonisti della stagione delle invasioni sono stati smascherati, almeno politicamente, come criminali di diritto internazionale, che per attaccare un paese sovrano occorre che vi siano irrefutabili prove del coinvolgimento di quel paese, tramite suoi ufficiali, negli attentati. A meno che non si voglia, paradossalmente e a rovescio, riconoscere al sedicente Stato islamico proprio la patente di “Stato”. Gli attentatori di Charlie Hebdo, quelli del Bataclan, e ora il solitario di Nizza, di chi sarebbero rappresentanti? Qual è il terreno sul quale far scendere gli scarponi militari? La Siria, forse? Oppure il Qatar e l’Arabia Saudita? I nostri editorialisti sanno benissimo di questi paletti, e allora con falsa coscienza passano al contrattacco dileggiando coloro che cercano di richiamare il rispetto di quella Carta dell’Onu che sempre più pare carta straccia: i “buonisti“, i molli europei (del resto erano ancora i neocons a dire che l’Europa viene da Venere e l’America da Marte), i responsabili dell’appeasement, coloro che hanno ceduto al postmodernismo delle identità fluide e porose abdicando alla difesa dell’occidente e dei suoi valori.

Ma è su questo che si sbagliano. Se infatti c’è una parte del discorso pubblico occidentale che si è impegnato (certo non senza motivo) ad additare i “nostri” errori, c’è tuttavia un’altra componente di quel discorso che rivendica proprio la centralità di quei valori. Insomma, se dobbiamo difendere l’occidente, siamo chiamati a ragionare a mente fredda utilizzando il lascito della cultura occidentale (ma non solo) che l’occidente stesso ha sin dal suo inizio cercato di far andare in malora, facendo convivere i diritti universali col “codice nero” degli schiavi e delle colonie, lo Stato di diritto con l’uccisione di civili inermi, e così via. L’occidente tramonterà solo se non saremo in grado di sviluppare le sue premesse. Solo se tradiremo ancora le sue promesse.