Musica

Musica per videogames, the bright side of the moon?

Molti considerano i videogames (per lo meno i titoli più ispirati) una vera e propria forma d’arte, altri la ritengono una stravagante perdita di tempo o addirittura, nei casi più estremi, un’arma di distrazione di massa. Sorvolando le considerazioni di carattere estetico e sociale, il dato centrale (ai fini di questo articolo) è che i videogiochi rappresentano ormai da anni, un business planetario che surclassa di gran lunga perfino quello del cinema. Basti pensare che i videogiocatori sono in tutto il mondo più di 150 milioni e che il valore del mercato globale dei videogames (dati Newzoo aggiornati al 2016) è di ben 86,1 miliardi di dollari, con un aumento annuo del 6,7%. Dato che ogni qual volta si parla di musica, si è costretti a ripetere la solita litania dei dischi che non si vendono, degli studi di registrazione che chiudono e delle orchestre che spariscono, è importante ricordare che esiste anche un bright side of the moon, ovvero una parte sana e sostenibile dell’industria musicale legata, appunto, all’intrattenimento videoludico.

Pur ricordando con affetto, e un po’ di nostalgia, temi musicali come quelli di Super Mario, Bubble Bobble, Zelda, Double Dragon, Street Fighter, fa sorridere che molti siano ancora convinti che la musica per videogiochi, sebbene aggiornata nella veste sonora, sia sostanzialmente caratterizzata dalla stessa filosofia di quella che animava i vecchi coin op da bar o i giochi per console vintage. In realtà, sono almeno quindici anni che, per lo meno alla realizzazione dei titoli più prestigiosi, lavorano abitualmente anche compositori di Hollywood come Hans Zimmer, Danny Elfman, Gregson Williams e molti altri. Certo, a questo proposito si potrebbe aprire una (lunga) parentesi sul fatto che l’aspetto tematico o del leitmotiv sia, in molte colonne sonore attuali, quasi del tutto sacrificato a favore di mega orchestrazioni roboanti che, spesso e volentieri, finiscono con l’appiattire l’esperienza emotiva. Ma, come dire, questa è un’altra storia.

Tuttavia, sebbene molti storcano il naso quando si parla di questo argomento, la mia sensazione (certamente non solo mia) è che tra le colonne sonore per videogiochi si annidino (tra una moltitudine di lavori artisticamente non proprio eccelsi) anche musiche di grande effetto e di ottimo artigianato compositivo; basti pensare alla colonna di Fable, Oblivion, Shadow of the Colossus, giusto per citare dei titoli in cui la musica e il suono svolgono una funzione narrativa, strutturale ed espressiva, centrale. Anche qui, si potrebbe aprire un’altra (lunghissima) parentesi, a proposito del fatto che non in pochi ipotizzavano (o speravano) che le colonne sonore per videogames potessero dar luogo anche ad un’estetica musicale alternativa a quella main stream che caratterizza i grandi Kolossal americani. Ma anche questa, è un’altra storia.

In questo blog, cerco spesso di ricordare quanto la componente uditiva sia determinante ai fini di un’esperienza emotivamente appagante nella fruizione di prodotti audiovisivi. Nel caso dei videogames, chiaramente, la questione è addirittura amplificata. Uno degli aspetti più interessanti legati al soundesign dinamico per videogames (gli esperti perdoneranno la semplificazione) è che, più che in ogni altra forma (creativa) audiovisiva tradizionale, l’interazione tra musica e suono non solo deve dar luogo a un tutt’uno organico e coerente, ma deve anche sottostare alle dure regole dell’interattività. Per avere anche solo una vaga idea della complessità dell’argomento, è sufficiente constatare quanti libri sono stati dedicati a questo tema.

L’Italia, pur rappresentando un mercato importante nel consumo di videogames, ha saputo intercettare solo in parte questa enorme domanda, annoverando tra le case produttrici di livello internazionale la Milestone, gli Ubi Studios e 505 Games. Se all’estero, dunque, il numero di posizioni lavorative in questo settore è chiaramente maggiore, è anche vero che una professione di questo tipo richiede competenze notevoli. In tal senso, l’Italia (finalmente) sarà all’avanguardia grazie all’attivazione di corsi istituzionali (e qui sta la principale differenza con l’estero) come il Master in Sonic Arts dell’Università degli Studi di Roma di Tor Vergata, che ha creato dei percorsi di formazione professionale dedicati al tema, tra cui Sound design per cinema, videogames e cartoon animation, tenuto dal Professor Luigi Sansò. Le numerose partnership internazionali, avviate dall’università con i principali marchi del settore, consentiranno inoltre agli studenti di formarsi a contatto diretto con i migliori professionisti sul mercato.

Chi segue questo blog, ricorderà forse che ho già espresso delle riserve sul concetto di musica di ricerca, soprattutto se intesa in chiave puramente teorica. In tal senso, ritengo sia inevitabile problematizzare quest’idea di continuare a formare studenti senza porsi seriamente la questione di come e dove metteranno a frutto le competenze acquisite. Molti giovani, purtroppo, pagano già le conseguenze di atteggiamenti didattici a volte troppo autoreferenziali, incontrando serie difficoltà nel trovare lavoro, costretti a continuare a formarsi (in eterno?) o, nel migliore dei casi, a fare ricerca ad oltranza. Ben vengano quindi iniziative che, parallelamente a studi canonici (per carità), si pongano concretamente il problema relativo al mercato del lavoro.