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Rio 2016, le Olimpiadi della tristezza

Amo il Brasile per la meraviglia del suo ambiente e, soprattutto, per il suo popolo e la sua cultura, pur con tutte le sue contraddizioni. D’altra parte qualcosa i brasiliani la dovranno cambiare di sicuro, se è vero, come a me sembra ragionevole, che i governanti di un paese siano lo specchio del popolo.

Le Olimpiadi si faranno di sicuro, per forza. È quello che ci sta dietro che è duro da digerire.

Nessuno sa come stiano davvero le cose in questo paese devastato. Io, come altri blogger e giornalisti ne parlo spesso, ma il mainstream mediatico sembra perlopiù ignorare la situazione o farne qualche accenno di tanto in tanto. E veniamo al dunque, poiché ritengo giusto denunciare, anche se conviene sempre meno farlo poiché si è parlato persino di una legge che impedisca di parlare male del governo. Alcuni giorni fa il Presidente ad interim Temer ha rilasciato un’intervista televisiva nella quale appariva abbastanza ragionevole. Lo credo bene, visto che tutte le reti televisive sono, in un modo o nell’altro, controllate dal governo.

Nessuno gli ha chiesto, per esempio, come mai la polizia, dall’inizio dell’operazione per “ripulire” la città di Rio dalla violenza, ha fatto fuori 2.500 persone, più o meno. La vita dei poveracci qui, violenti o no, non vale un accidente.

Il Comitato Olimpico ha dovuto scusarsi pubblicamente poiché i grandi machos del “Battaglione della selva”, i marines dell’Amazzonia, hanno fatto fuori un giaguaro che non ne voleva sapere di stare lì a guardarli a torace gonfio con la torcia olimpica in mano, in un’immagine di vaghe reminiscenze del secolo scorso. Non si capisce perché debbano sfilare con i giaguari alla catena, riempiti di sonniferi. Questa volta non hanno fatto effetto e l’animale ovviamente si è ribellato a questi maschietti di sesta categoria, rimediando una palla nella cabeza….Vergognoso.

Lo Hospital Municipal Souza Aguiar, l’ospedale “dedicato” ai Giochi, è stato attaccato qualche giorno fa, con un blitz di 25 narcotrafficanti. Non hanno nessuna paura della polizia, drogati come cavalli come sono. Dovevano liberare un pericoloso pregiudicato lì ricoverato. Ce l’hanno fatta. Sparatoria tra i malati, morto un vigilante.

Al di là della violenza inaudita la crisi economica sta distruggendo il paese. Un paese ricco di petrolio e di risorse che sta affondando nella vergogna e nella miseria. Non riescono nemmeno a finire di costruire gli hotel con le camere già affittate per il periodo olimpico. Tra Ipanema e Copacabana un amico italiano responsabile dell’organizzazione degli eventi inaugurali (che mi ha chiesto di rimanere anonimo) mi indica un cantiere abbandonato. “Doveva essere un hotel di 18 piani” – e continua – “Con la passerella per pedoni e biciclette sull’oceano crollata di recente per un’onda anomala il nostro dubbio è più che altro sulla qualità delle strutture costruite per i Giochi”. Altre strutture, realizzate anni fa per la visita del Papa, erano affondate in una palude, nessuno si era accorto di che tipo di terreno fosse.

Una economista di rilievo dell’Università Cattolica di Rio (anche lei mi ha chiesto l’anonimato) alla mia richiesta di una sua opinione sulla situazione del Brasile mi ha detto: “Secondo me dopo le Olimpiadi chiude”. Una battuta, ci mancherebbe…

Intanto una responsabile del colosso mondiale per prenotazioni di alberghi on-line, Booking.com, mi ha detto: “Sembra che qui facciano le riunioni e i brainstorming per trovare il modo migliore per frenare l’economia e rallentare lo sviluppo. Nella fattispecie si stava parlando del fatto che, dall’aprile scorso, per acquistare i biglietti olimpici on-line, udite udite, occorre fornire il CPF, il Codice Fiscale brasiliano. Se non ce l’hai niente biglietto. Nessuno può più acquistare on-line un biglietto dall’estero, sono decine di migliaia gli invenduti.

Lo credo bene che il governatore ha dovuto dichiarare lo stato di calamità a Rio. Un escamotage tecnico affinché il governo possa liberare i miliardi necessari a tappare tutti i buchi della gestione allegra. Non vengono nemmeno più pagati gli stipendi agli insegnanti delle macilente scuole pubbliche e agli agenti di polizia. Siamo in molti a pensare che la sicurezza in una situazione simile con ogni probabilità dovrà essere assicurata dall’esercito con i carri armati.

Ma il peggio rimane nella miseria e nella violenza delle favelas, dove i bambini poveri vanno in scuole di qualità infima, dove a stento imparano a fare due più due. E non è un modo di dire, lo so per esperienza diretta, dirigendo una ong che si occupa anche del doposcuola dei bambini delle favelas. L’abbandono è totale, anche se ci sono più soldini per patatine, i-Pad, i-Pod, android, triccheballacche, pinzillacchere…e via dicendo. La qualità vera della vita fa schifo, basta andare a vedere i barboni strafatti di crack sotto gli anonimi viadotti di cemento. Sono a centinaia.

D’altra parte proprio le favelas sono un ambiente affascinante, pittoresco e accogliente, e alcune possono essere visitate in assoluta sicurezza, scoprendo un mondo straordinario, ricco di umanità, calore e potenzialità. Se solo ci fossero dei programmi di educazione e sviluppo culturale degni di questo nome….

Non sono un economista, ma già anni fa avevo avuto il sentore che lo “sviluppo” del Brasile, sbandierato a destra e a sinistra, fosse un gigantesco bluff, che non permetteva altro che far viaggiare Dilma Roussef con tutto il suo staff nei più lussuosi alberghi del mondo, a spese dei contribuenti. L’unica cosa che mi viene sempre in mente è il refrain del gruppo rock brasiliano di protesta degli anni ‘80/’90, Legião Urbana: “Que país é esse?”. Che paese è mai questo?

Oggi il loro bassista, ex-divo, fa il barbone per la strada a San Paolo.